“Viviamo nell’epoca delle grandi distanze: il progresso ci ha aiutato a stringere relazioni con persone molto distanti da noi sia grazie a mezzi di trasporto, sempre più efficienti, sia con l’avvento dei social; ma… c’è sempre un “ma”…

L’uso eccessivo dei social e il chiudersi in questo mondo virtuale fa sì che le persone diano per scontati i rapporti della vita reale. La società diventa sempre più “liquida”: come spiega il sociologo Bauman, questa muta continuamente, rendendosi incerta, e ciò causa precarietà e instabilità emozionale che tendiamo a stabilizzare con i social e con le relazioni che si creano per mezzo di questi.

Grazie ai social network, infatti, siamo in grado di scegliere le persone con cui relazionarci e dedicarci completamente a loro, trascurando quelle che ci circondano: ecco che non riusciamo ad apprezzare ciò che abbiamo e viviamo male con noi stessi e con gli altri.

Vuoti che si riempiono trascorrendo ore davanti al monitor, in alcuni casi sfociando nella vera e propria patologia (gli hikikomori di cui tanto si parla ultimamente).

Spesso, per appagare questo senso di malessere, si tende a compiere atti di altruismo, come il volontariato, che però, più di mirare al benessere del prossimo, mirano al proprio: è una sorta di altruismo volto all’egoismo che prende il nome di volontariato liquido” o “volontariato light”; a proposito di
questo, il sociologo Finzi dice: “doniamo meno, facciamo un atto episodico di altruismo, così spendiamo meno e ci sentiamo meglio”.

Nonostante i (vani) tentativi, uscire da questo stato di malessere ci sembra impossibile perché non siamo in grado di vivere in società: il primo passo per realizzare quest’obiettivo è accettarsi, quindi vivere bene con se stessi, e poi apprezzare ciò che abbiamo attorno, ciò da cui i social ci distolgono partendo dalla famiglia, dagli amici, dai colleghi.

All’apparenza potrebbe sembrare semplice capire questi meccanismi, ma in realtà spesso compiamo grandi errori. Innanzitutto è necessario lavorare su se stessi, prendere consapevolezza di sé e amarsi: non si deve commettere l’errore di trascurare la propria persona né fisicamente né psicologicamente, ad esempio sopprimendo la propria volontà; è importante anche stimarsi ammettendo i propri pregi e mirare al miglioramento di sé.

Solo quando si è compiuto questo lavoro nei confronti della propria persona ci si può focalizzare sul rapporto con gli altri. Uno degli errori più grandi che compiamo è la disattenzione verso chi ci sta accanto: non sappiamo più ascoltare gli altri né consolarli nel momento del bisogno, perché siamo distratti o perché vogliamo prevalere per colmare il senso di inadeguatezza; dobbiamo invece imparare a supportare chi ci sta attorno in modo che anche noi, nel momento del bisogno, potremo contare su una spalla in più.

E allora… Se ricominciassimo? A guardare negli occhi i nostri amici, i nostri pazienti, i nostri studenti… A sederci a tavola guardando i nostri figli, predisponendoci all’ascolto… A stringerci più forte di fronte alle avversità.
Ricominciamo. Ora.”


Condividi