C’era una volta una gattina di nome Carboncina, un bombay nero dagli occhi gialli e dal pelo corto e lucidissimo. Carboncina viveva nel “Giardino incantato di Lavanda e Melograno”, un meraviglioso parco dove fiorivano ortensie, fiordalisi, magnolie, eleganti campanelle, dalie dalle luminose corolle, pervinche lilla, peonie rosa e giacinti giganti. Sui fiori si posavano farfalle blu e viola, e sugli alberi planavano bianche colombe dal collare rosso, passeri melodiosi e pavoncelle con piumaggio verde acqua spruzzato di arancione. All’esterno del parco vivevano altri gatti dai corpi nelle sfumature del fucsia, dell’azzurro, dell’amaranto. Carboncina, leggiadra e docile, aveva una straordinaria energia: amava tuffarsi nell’acqua – strana caratteristica poco tipica della sua razza –, sapeva parlare e cantare ed era amica dei topolini che, di tanto in tanto, facevano capolino fra gli arbusti in cerca di cibo. Ogni mattina veniva a trovarla un’amica che abitava nel cortile di fronte, Faline, un piccolo levriere dal pelo raso, dall’indole riservata e affettuosa. Insieme alla cagnolina, rapidissima e guizzante, la gattina amava cimentarsi in corse all’aria aperta, saltare fra le siepi, oltrepassare i muri del giardino, per poi tornare indietro a sdraiarsi al sole. Dopo essersi misurata in grazia e velocità, Faline, dignitosa e un po’ snob, desiderava accoccolarsi al tepore della luce e la gattina la seguiva con sguardo adorante. All’improvviso il levriere sembrava irrigidirsi, apparendo come una statua scolpita nel marmo, e Carboncina la imitava in ogni gesto, assaporando la felicità che scaturiva dalla tenera amicizia. Il loro riposino, però, durava poco. Sempre alla stessa ora arrivava nel parco Cochito, un gatto randagio, che vantava ascendenti di un nobile casato spagnolo. Il suo lungo pelo bianco e scarlatto e i suoi occhi color zucchetta caramellata erano molto apprezzati dalle gatte della vallata, che facevano a gara a corteggiarlo. Il felino amava i pranzetti cucinati e disdegnava croccantine e scatolette. Ogni giorno aspettava che Thomas, il padroncino di Carboncina, portasse la scodella con sarde fumanti o con pezzetti di salsiccia in salsa. All’arrivo del pranzo, Cochito iniziava a soffiare contro Carboncina e Faline le quali, indispettite e sdegnose, si allontanavano. A Faline non piaceva abbaiare, preferiva evitarlo con aria di superiorità. Carboncina invece, cambiava il suo solito umore mite e, guardandolo con occhi spiritati, mostrava gli artigli all’intruso ma, poi, si accordavano tutti nell’inseguire il timido coniglietto Mwitty o l’oziosa lucertola Rinilde. Insieme partivano all’avventura in un silenzio rotto solo dai fruscii dei corpi fra le piante. Alla fine, esausti, i due gatti e il cane si accucciavano vicini guardandosi con sguardi complici ma… ecco arrivare un guastafeste rumoroso e giocherellone, Zeus, un barboncino dal pelo rosso fulvo, soffice e riccioluto, che abitava in una casa vicina. Con piglio astuto, affascinante e suadente, invitava gli altri animaletti alla caccia alle anatre nel laghetto in fondo alla vallata. Come ogni giorno, le allegre scorribande nella natura continuavano fino a sera, mentre nel buio incominciavano a scorazzare le stelle.

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