Climate Clock e Diritto umano universale ad un ambiente sano: il futuro sostenibile ha il volto dei giovani

Direbbe Giovanotti “Sono fiori cresciuti sull’asfalto e sul cemento”, fiori che danno speranza, e che piano piano, si moltiplicano e sbocciano ad ogni latitudine del pianeta. Stanno crescendo, e come piccoli alberi mettono radici che spaccano il cemento in cui sono nati. Sono la speranza, sono il futuro migliore che tutti desiderano, sono le nuove generazioni sensibili al tema dell’ambiente.

L’attenzione dei mass media è ormai incentrata sulle crisi generate dalla pandemia da Covid-19, una crisi che ha molti volti, dai problemi del sistema sanitario e quelli del sistema economico e sociale. Nel caos generato dal virus, l’umanità ha distolto la propria attenzione da quella che costituisce la principale minaccia per il pianeta: il cambiamento climatico.

Superata una certa soglia, si innescheranno dei meccanismi a catena che  porteranno a fenomeni naturali estremi che colpiranno tutto il pianeta, esacerbando le diseguaglianze economiche e sociali. Per sensibilizzare l’umanità ai pericoli del “punto di rottura”, è stato installato a New York il Climate Clock, un orologio climatico, che a sinistra segna, in rosso, quanto tempo manca al punto di rottura, sulla base dei dati scientifici , e sulla destra segna, in verde,  la percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili.

Nell’istante in cui scrivo questo articolo, mancano 6 anni, 241 giorni e 00.52.20 ore alla soglia di rottura. Il futuro dell’umanità dipende tutto da come, in questo lasso di tempo, si riuscirà a gestire, in tempo utile, il passaggio da un sistema economico altamente inquinante ad un sistema economico ecocompatibile, potenzialmente ad emissioni zero.

Ma ciò non basta, bisogna cambiare il proprio personale stile di vita, abbandonando comportamenti che distruggono l’ambiente e adottando nuovi comportamenti ecosostenibili. Sono i giovanissimi i più sensibili al tema ambientale, e il volto del futuro è quello di giovani ragazzi che si sono attivati per la tutela di un diritto umano universale: il diritto a vivere in un ambiente sano.

Una nuova generazione lotta da anni per il riconoscimento non solo formale, ma concreto, di tale diritto, nella consapevolezza che il tempo è poco. Da Greta Thunberg, con il suo movimento Fridays for future, che sensibilizza le persone al pericolo del cambiamento climatico e spinge i governi ad adottare misure realmente efficaci, a Felix Finkbeiner, che  con la sua fondazione Plant- for- the- Planet  è riuscito a piantare milioni di alberi in diversi paesi del mondo, con l’obiettivo di ridurre la Co2, e ancora Boyan Slat, che attraverso la sua organizzazione no profit The Ocean Cleanup utilizza le potenzialità della tecnologia per ripulire gli oceani dalla plastica che, raccolta, viene riutilizzata per produrre oggetti che, venduti, finanziano la stessa associazione.

Cosa accomuna questi tre ragazzi? Sono tutti giovanissimi. Greta Thunberg inizia a manifestare davanti al parlamento svedese per protestare contro l’inattività della politica in tema ambientale a soli 15 anni. Felix Finkbeiner ha iniziato a piantare alberi, affascinato dallo studio scolastico della fotosintesi clorofilliana, a 9 anni. Boyan Slat decide di abbandonare i suoi studi universitari e fondare la sua organizzazione no profit per ripulire gli oceani a soli 18 anni.

La globalizzazione ha creato una generazione nuova, dei piccoli cittadini globali che reclamano il loro diritto umano universale a vivere in un ambiente sano, capaci di organizzarsi e di ottenere grandi risultati. I loro volti, di bambini e di ragazzi, provenienti da tutti i paesi della terra, è il volto della speranza in un futuro migliore, il volto di un’umanità che si è attivata, contro un sistema organizzato su una cultura autodistruttiva , una cultura che ha i giorni contati dall’orologio climatico. Questi ragazzi non possono vincere, ma devono vincere, poiché se così non fosse, l’umanità sarebbe realmente sulla soglia dell’autodistruzione. Cosa possiamo fare noi adulti per non rubare la speranza a questi ragazzi? Semplice, aiutarli e seguire il loro piccolo esempio. Ognuno di noi può fare la sua parte nella lotta al cambiamento climatico, riducendo il proprio personale impatto ambientale. Fermiamoci per un momento a ragionare, e calcoliamo cosa possiamo fare, nel nostro piccolo, per difendere il nostro diritto umano universale a vivere in un ambiente sano. Pensiamo, ad esempio, a quanti di noi consumano acqua in bottiglie di plastica. Se una persona consuma una bottiglia di acqua in plastica al giorno, produce 365 bottiglie di plastica all’anno. Se ognuno di noi decidesse di eliminare questo tipo di abitudine inquinante, avremmo, per ogni persona, 365 bottiglie di plastica in meno, all’anno, immesse nell’ambiente.

Il tempo a disposizione non è tanto, l’orologio climatico scorre veloce, in ballo c’è il futuro stesso dell’umanità, e diverse generazioni si sono già attivate per difendere un bene comune, l’ambiente. Ora tocca a ciascuno di noi attivarsi, assumendo uno stile di vita ecocompatibile e aiutando queste giovani generazioni a vincere una battaglia che interessa tutti. Si parla sempre di diritti, e mai di doveri. È un dovere di chi oggi è adulto non distruggere l’ambiente e il futuro delle prossime generazioni. Citando Pino Daniele, è un nostro dovere “Non calpestare i fiori nel deserto”.

30.03.2021

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