Violenza sulle donne: un fenomeno in drammatica espansione

Il 25 novembre si è celebrata la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne.

Esiste una vera e propria archeologia di quest’ultima. Nei racconti mitologici il dio di turno conquista con la forza la donna di cui si è invaghito, come accade per Apollo con Dafne o per Giove con le sue prede. Tito Livio narra la storia della casta Lucrezia, violentata da Tarquinio, che la ricatta sguainando la spada. In seguito la donna decide di uccidersi con un coltello conficcato nel cuore per non subire il disonore dell’adulterio. Da ricordare lo stupro della vestale Rea Silvia da parte di Marte ed il ratto delle Sabine a cui segue il matrimonio utile premessa di un’alleanza. Nelle iconografie rappresentanti le battaglie, la donna è un bottino, come si evince dalla guerra di Troia sino al secondo conflitto mondiale. Il possesso di Proserpina da parte di Plutone è espressione della prevaricazione dell’uomo sulla donna. Cassandra, la profetessa figlia di Priamo, abbraccia la statua della dea Atena nel vano tentativo di sfuggire alla violenza di Aiace, che afferra i capelli della donna mentre sta per trafiggerla con la spada sguainata. Nelle Metamorfosi di Ovidio sono narrati vari sequestri, soprattutto ad opera di Giove, come il ratto di Europa sotto forma di toro. L’Alto Medioevo contrappone il corpo all’anima, ne predica la mortificazione e, a farne le spese sono ancora le donne che, da Eva alle streghe, diventano espressioni diaboliche.

“La femina è un animale imperfetto” scrive Giovanni Boccaccio nel Corbaccio. Aristocratici, prefetti, consoli abusano di loro sottomettendole e il silenzio rappresenta l’essenza della loro femminilità.

Riescono a liberarsi del dominio maschile solo chiudendosi nel chiostro.

L’unica estranea al peccato è Maria, madre e vergine. Il Cristianesimo ribadisce, in una prospettiva teologica, la tradizione misogina già viva nella cultura greco – romana.

Nel 1447 le donne di Piacenza, anche monache, sono stuprate dai soldati del duca Francesco Sforza.

Nel Rinascimento la condizione è uguale a quella delle epoche precedenti.

In giovane età una fanciulla è asservita agli interessi della famiglia di origine e viene sposata per stabilire alleanze.

Nel Seicento il senatore Aurelio Dell’Armi, accusato dalla consorte di averla picchiata, così si giustifica nell’interrogatorio: “Non credevo che un marito non potesse correggere sua moglie”

Sono le dame dei salotti del Seicento ad imporre un nuovo tipo di convivenza con gli uomini: le cosiddette Preziose ribadiscono che la conquista da parte dell’uomo deve basarsi sulla pazienza e la fedeltà. Il matrimonio viene rifiutato come inutile istituzione e si profila la necessità del divorzio.

Le vessazioni continuano nei secoli. Alla fine del Settecento il negoziante torinese Felice Bertola sostiene di volere che la moglie malmenata torni a casa affermando: ”Voglio tenere chiusa e batterla fino a che mi piacerà, perché io sono il padrone e il suo re”.

Non solo: il padre punisce ancora la figlia, il padrone batte la serva.

A partire dall’Ottocento incomincia un discorso pubblico sulla prevaricazione e si profila una coscienza sociale del fenomeno.

Il pittore Goya dipinge la guerra contro il gentil sesso durante l’occupazione della Spagna da parte dell’armata francese: aggressioni, furie, stupri si perpetuano davanti a mariti e figli inermi.

Nella prima Guerra Mondiale le donne diventano il bersaglio strategico degli invasori, trasformando il passaggio dei tedeschi in una guerra contro queste ultime.

Gli abusi sono parte della strategia offensiva degli eserciti per colpire le popolazioni civili.

Le donne sono vittime di brutali accanimenti sessuali da parte di impuniti militari tedeschi, ungheresi, bosniaci, croati.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, reiterate angherie, soprattutto su ragazze ebree, sono commesse dalla Wehrmacht durante l’invasione della Polonia nel settembre 1939.

Il tema del rapimento e della coercizione sulla donna appare in un manifesto del 1944 del Nucleo di Propaganda fascista dal titolo Difendila.

Il nemico da cui difendersi è il soldato americano: un milite di colore cerca di spogliare una donna bianca.

Ma veniamo ai nostri giorni.

Tra il 2020 e il 2021 gli indicatori dei femminicidi sono schizzati in alto.

Nei primi dieci mesi del 2021 87 donne sono state uccise da persone vicine, di cui 60 da parte del partner, del fidanzato o dell’ex, in genere dopo la separazione.

La violenza, inflitta all’interno di una relazione, è un fenomeno presente in tutti i paesi e diffuso in tutte le classi sociali: vieta la vita, la libertà, la dignità della persona.

Le donne, che non sono state soppresse, sono sottoposte ad umiliazioni, privazioni, offese, divieti, controllo, irrazionale possesso a tutti i costi, gelosia, vendetta, sottomissione economica, isolamento progressivo, molestie di ogni tipo.

Nonostante da più parti è ribadito che la violenza contro il sesso debole sia una manifestazione di rapporti di forza storicamente diseguali da condannare, in alcune zone l’uso della malversazione verso la consorte, la compagna o la figlia è ritenuto ancora un lecito strumento di correzione.

Vi sono anche abusi che non lasciano tracce e puntano sulla perdita di un sano concetto di sé ma, per la maggior parte, le donne mostrano ferite sul viso e sul corpo, gonfi e spesso sfigurati dall’acido.

Molte non capiscono di essere in una relazione tossica, che uccide la loro autostima, anche perché sono innamorate e pronte a giustificare e perdonare.  

La capacità di nascondere i segni più intimiè enorme insieme ai sensi di colpa, all’ ansia, agli attacchi di panico, alla depressione.

La ferocia viene ritenuta come un raptus momentaneo dell’uomo o si attribuisce ai comportamenti esasperanti da parte delle donne.

Dall’inizio della pandemia secondo i dati Istat le chiamate al centro antiviolenza 1522 sono aumentate del 79,5 per cento, con picchi nei mesi del lockdown del 182 per cento.

A capo della classifica vi sono le regioni in cui il tasso criminale è molto alto, come in Africa Meridionale, i Caraibi e l’America Centrale.

Il termine femminicidio è stato reso popolare per la prima volta nel 1992 dalla criminologa Diana Russel nel libro The politics of woman killing. La studiosa che, tra l’altro, studia anche l’abuso sui minori e la pornografia, lo definisce “L’uccisione delle femmine da parte dei maschi in quanto femmine”.

Oggi le donne si riuniscono in rete e possono usufruire del prezioso servizio dei centri antiviolenza, ma l’odio ha ancora radici profonde nell’oppressione verso di loro: ne sono testimoni le storie raccontate dalla trasmissione Amore criminale presentate da RAI 3 con scopo di denuncia sociale ed i numerosi casi di cronaca, che vedono nella scomparsa della giovane Saman Abbas, la ragazza pakistana di 18 anni, che ha rifiutato un matrimonio combinato, la punta di diamante del fenomeno.

C’è ancora tanta strada da fare in nome della civiltà!

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