Hic et nunc, dai classici ai social: la speranza propositiva come antidoto al nichilismo apatico della normalità del male

In un mondo ad alta tecnologia, dove i social hanno un ruolo centrale, è interessante osservare come proprio le bacheche dei social siano uno dei luoghi prediletti, specialmente dai giovani, per postare frasi sul senso della vita e della propria visione del mondo, facendo riemergere la cultura classica, umanistica, come protagonista l’uomo, la cui etimologia deriva da humus, “terra, in particolare terra umida, acquosa (da humor o umor), quindi coltivabile.

Leggendo la definizione di etimologia sull’ enciclopedia Treccani, troveremo : “Disciplina linguistica che studia la storia delle parole, risalendo fino al punto della storia o della preistoria di un vocabolo (etimo) in cui esso risulta appartenente ad una famiglia di altri vocaboli.”

Nella storia dei social spiccano alcune frasi, tratte dal mondo classico, che spesso i giovani prendono come una sorta di “ancora esistenziale”, di bussola, per comprendere il senso della vita, fenomeno che assume rilevanza in un mondo dove il relativismo rende sempre più difficile la distinzione fra il bene ed il male, ed è facile naufragare nel mare della vita. Una volta una persona saggia mi disse che a suo parere la chiave di volta per cercare di ragionare insieme sul tema della vita e su quello del bene e del male stava nel fatto di non porre le persone dinanzi ad una domanda divisiva, sul modello “questo è il bene e questo è il male”, ma di porre lo stesso quesito in modo unitivo, chiedendo “Ti sembra giusto?”, perché in un mondo relativista, dove all’esterno c’è il caos, l’unico modo per vederci chiaro è riflettere su ciò che è scritto nel proprio cuore, superando ogni divisione, appellandosi alla coscienza del cuore come elemento universale.

Osservando i social è divertente notare come persone che nulla hanno in comune usano come “biglietto da visita social” la stessa identica frase, a sottolineare come, al di la di ogni divisione, che nasce quando degli altri si osservano solo i difetti, esistono punti di unità nella diversità che al contrario emergono quando degli altri osserviamo i pregi, perché anche un solo pregio è una porta di dialogo e di riconciliazione, sulla quale costruire insieme ciò che è percepito come giusto.

Nella storia dei social si vedono persone che si scontrano ma alla fine citano le stesse frasi classiche, ascoltano le stesse canzoni, leggono gli stessi libri e via dicendo, sottolineando come, insieme al giusto, anche ciò che bello unisce nelle diversità, e nel mondo delle fake news, dove la verità è oggetto di continua falsificazione a fini divisivi, il giusto ed il bello sono i concetti che meglio reggono alle meccaniche di falsificazione e strumenti utili a difesa della stessa verità.

Nel romanzo 1984 Orwell si rese conto delle meccaniche di distorsione e quindi falsificazione del linguaggio e quindi del pensiero nella nota scritta 2+2=5, ricordando che la matematica non è un’opinione affermava che “Libertà è la libertà di dire che 2+2=4. Concessa questa libertà ne conseguono tutte le altre ”.

Unendo il mondo scientifico a quello umanistico nell’ambito dell’uso della tecnologia social si osservano fenomeni interessanti, addirittura comici, e basta osservare tre frasi spesso utilizzate sui social network: Hic et Nunc, Carpe Diem, Amor Vincit Omnia.

Queste frasi sono una sorta di biglietto da visita esistenziale, spesso apposto sui profili social, e costituiscono messaggi classici, in tal senso universali e quindi unitivi delle persone, una sorta di base concettuale comune e condivisa, per cui tutti sono d’accordo che la vita va vissuta Hic et Nunc, cioè qui e ora, adesso, perché la vita è preziosa, ed il tempo vale più del denaro poiché si può recuperare, e quindi al secondo posto c’è Carpe Diem, cogli l’attimo presente come attimo fuggente, ed infine Amor Vincit Omnia, poiché nel cuore di tutti è percepibile la giustizia dell’amore come bello e come vero. Se invece dei Big Data (dati di massa) si studiasse la storia dei social, si comprenderebbe che se i big data falsificano distorcendo la realtà in un 2+2=5, la strada più semplice non è smascherare la falsificazione dimostrando che la verità è 2+2=4, ma percorrere una antica quanto nuova via, e puntare sul bello e sul giusto, perche da esso emergerà la verità, da sé stessa, come un 2+2=4, un  calcolo che non è né buono né cattivo, è semplicemente giusto, e se la ragione accecata non lo vede, lo vedrà il cuore, perché “Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce”.

Ecco che allora quello che Orwell chiamava Grande Fratello può essere contrastato a partire dai fratelli maggiori, nati prima che le dinamiche del denaro unite a quelle della tecnologia imprigionassero il loro fratelli minori come “rondini al guinzaglio”, in quel passaggio storico dove invece di uscire dalla “banalità del male” le dinamiche sociali hanno creato “la normalità del male”, contro la quale non basta più la verità come dato matematico, ma occorre il bello come dato estetico ed il giusto come parametro morale. L’arte percepisce questi fenomeni, e per questo “buoni o cattivi non è la fine, prima c’è il giusto o sbagliato da sopportare”, perché l’arte non vede solo con gli occhi della ragione ma con quelli del cuore.

La storia delle bacheche social è la storia di una forma di espressione umana, simile ad un diario, oggetto strettamente personale, segreto, messo sulla pubblica piazza, e quindi spesso non sincero. Eppure le frasi esistenziali di solito non mentono poiché si può falsificare l’apparenza ma non la sostanza esistenziale di una persona, quel “come sei veramente”, per cui nella “società dell’immagine” come apparenza, l’unico frammento di verità lo si trova proprio in queste brevi frasi, universalmente condivise come giuste, per cui la vita va vissuta pienamente in nome dell’amore, e l’amore non divide mai, unisce sempre le persone, proprio nelle diversità, non guardando i difetti ma esaltando i pregi degli altri, e i pregi emergono da ciò che una persona fa di bello e di giusto.

Il bipensiero come linguaggio divisivo pone gli esseri umani davanti al falso quesito “ vuoi fare il tuo interesse o quello del prossimo?”, fa emergere nell’uomo l’atomismo sociale competitivo dell’egoismo e dell’indifferenza divisiva che porta guerra, mentre il linguaggio dell’amore è unitivo, e alla stessa domanda sa rispondere “ posso fare il mio interesse prendendomi cura del prossimo”, facendo emergere una visione sociale collaborativa che unisce tutti nella cura dei beni comuni che porta pace.

Ecco allora che è dal bello e dal giusto che la verità emerge come luce, come una buona notizia propositiva sul giornale, positiva e propositiva di occasioni di speranza, come una poesia che ferma la fretta e quindi spinge a riflettere, come una canzone che rallegra o una semplice frase del mondo classico che unisce popoli di diverse culture e generazioni, opere che nei secoli altro non hanno fatto che ricordare all’essere umano che, come Humus, terra umida, coltivabile, deve portare buoni frutti, altrimenti la vita perde il suo senso più profondo, esistenziale, generando fenomeni sociali come gli “Emo” e gli “Hikikomori”, quel disagio giovanile frutto del nichilismo come male di questo secolo, quel senso di “nulla che avanza”, quel guinzaglio alle rondini che il bello e il giusto come verità ha sempre tolto come liberazione dalle catene dell’odio, dell’egoismo e dell’indifferenza, del successo come accumulo di beni privi di senso (shopping compulsivo etc) e vanagloria (senso di superiorità di per sé stesso lesivo della dignità umana e del principio di fraternità universale).

Ecco allora che la via d’uscita dal nichilismo è semplice nella sua complessità ed è già scritta sulle bacheche  dei social, dove tutti sono d’accordo sul non perder tempo e valorizzare il presente facendo il bene come amore. L’amore vince sempre, nel momento in cui un “Emo” smette di farsi piccoli tagli sui polsi perché non prova più emozioni perché con una poesia o una canzone si commuove, piange, e cosi viene liberato da quel senso di nulla che lo affligge. Cosi l’amore vince quando un “Ikikomori” trova una motivazione per combattere la fobia, come paura immotivata, di uscire di casa, ma la paura si combatte con la speranza, quando l’ambiente esterno non è più percepito come un campo di guerra da cui fuggire ma come un mondo da esplorare ricco di occasioni di felicità.

Il nichilismo come male di questo secolo ha avvelenato l’essere umano come terreno umido e fertile nel momento in cui ha riversato in esso la più grande delle paure, quel pessimismo cosmico apatico per cui si ha paura del futuro, del prossimo, della stessa possibilità di risolvere i problemi, cosa che genera il famoso “bicchiere mezzo vuoto”, cioè il non vedere che il bicchiere è oggettivamente pieno a metà, ma percepirlo come “sempre mezzo vuoto” e “ mai mezzo pieno”, cosa che avvilisce e priva di forze e quindi spinge all’immobilismo che aggrava i problemi.

La speranza invece al contrario continua a coltivare l’uomo sempre, anche quando è un terreno arido, perché la speranza è in primo luogo speranza nel futuro come miglioramento, come cambiamento personale e collettivo, la speranza cerca il prossimo e sapendo che è una rondine al guinzaglio non gli parla di quanto è brutto il guinzaglio, ma di come sono belle le sue ali (notizia positiva) e di come sciogliere il nodo del guinzaglio (notizia propositiva). La speranza libera dai guinzagli mentali, emotivi e spirituali quando concretamente aiuta gli altri ad aprire le ali, perché la speranza vede sempre il bicchiere mezzo pieno, consapevole del fatto che la verità è il bicchiere a metà ma che la percezione è fondamentale, e dire che il bicchiere è mezzo pieno da alle rondini la forza di aprire le ali, perché il pessimismo è una delle più grandi menzogne nella storia dell’umanità, poiché a parità di condizioni demoralizza e non motiva, e quindi il pessimismo è irrazionale e rende le persone apatiche, mentre la speranza affronta la realtà, e quando il bicchiere è vuoto si ingegna per riempilo, e quando il bicchiere è rotto si ingegna per ripararlo, sostituirlo, crearne uno nuovo e spazio alla fantasia, la speranza non si arrende mai, combatte fino all’ultimo, è semplice nella sua complessità, poiché in grado di semplificare problemi complessi e comunicare fenomeni complessi in modo semplice, la speranza è semplicemente complessa e creativa. Senza speranza l’uomo non è in grado né di pensare né di costruire un mondo migliore, senza speranza il cuore perde le forze, per questo si dice che “la speranza è l’ultima a morire”, poiché combatte solo chi, nonostante tutto, coltiva la speranza.

In uno dei momenti più difficili per il paese il Presidente Pertini, in una intervista televisiva ad Enzo Biagi, affermo di guardare al futuro “con il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà”, dando così una descrizione della speranza, come consapevolezza razionale dei problemi e come spinta del cuore che motiva all’azione. Ecco che la speranza esiste da sempre, e restando sé stessa muta nel tempo adattandosi alle situazioni, e quando il nulla del nichilismo avanza avvelenando l’uomo come buon terreno affinché non porti frutti, accecando la ragione con i suoi 2+2=5, avvelenando il cuore con emozioni negative, e privando l’anima della luce rinchiudendola nel carcere del pessimismo apatico, ecco che la speranza ritorna, come il più grande dei classici, ed unendo le tre frasi che uniscono tutti, come ha sempre fatto, oggi la speranza cosa direbbe? Hic et Nunc, Carpe Diem, Amor Vincit Omnia cioè di non aver paura di nulla perché la vita è qui ed ora, adesso, nel cogliere il momento, nella consapevolezza che l’amore vince tutto.

Il tempo è la cosa più preziosa, perché il tempo è la nostra vita, e l’unico modo per viverla pienamente e non sprecarla è  coltivare la speranza in un futuro migliore è semplice nella sua complessità. L’unico tempo che esiste è il presente, e a nulla serve restare rinchiusi nel passato fra rimpianti per ciò che non si è fatto e rimorsi per ciò che si sarebbe potuto fare, e neanche serve soffocare il presente in preoccupazioni e paure di un tempo futuro sul quale l’uomo non ha potere, ma conviene valorizzare il presente come unico tempo esistente guardando al futuro con il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà, organizzando la speranza in concreto nell’ amare, qui ed ora, adesso.

30.08.2022

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