Non si disperderà mai dalla mente e dal cuore di chi lo conobbe e gli volle bene la nobile e generosa figura di Gennaro Autoriello, medico e poeta della vita che gli vibrava nel cuore, con il volto degli affetti più cari.  Quando parlava della moglie diceva: “ Su tutto domina la figura di colei che mi fu dolce compagna ed a cui, ancor oggi, mi appoggio, nel mio immaginifico, come facevo in sua vita. So che mi aspetta e che, ancora una volta, mi offrirà la sua mano per intraprendere insieme, nell’eternità il cammino ed il sogno interrotti su questa terra”. Gennaro aveva avuto anche esperienze notevoli di commediografo e regista ma, soprattutto, come maestro di arte e di valori esistenziali, sapeva volare sulle ali del vento  e ritrovare “Nei raggi del sole morente/la luce dei sogni/da tempo perduti”. In una sua delicatissima lirica, in lingua napoletana, confessa l’insopprimibile desiderio di volare nel cielo tra le stelle e restare tra quelle meraviglie senza dover più mettere piede sulla terra, ma poi ecco a quali conclusioni giunge la consapevolezza di aver accanto la donna che lo ama: “Vurria…vurria…ma tu me stai vicino/allora è meglio resta’ ‘cnopp’ ‘a terra/tanto, p’ ‘o cielo, ce sta sempre tiempo!”.  Era un sognatore ma, anche nell’ora dell’oblio, desiderava conservare gli occhi aperti sul tempo misurabile, come sanno fare gli scienziati che hanno anche il dono della poesia. Si interrogava sull’esistenza della vita oltremondana  e, così concludeva nella lirica che segue

N’atu munno

Chi sa si esiste overo nu paese

addo l’estate vene senza vierno,

addo na rosa nasce senza spine,

addo na vocca ‘e femmena, sincera

  • Te voglio bene – dice, senza ch’è buscia!

Ma ‘o tiempo passa e more l’illusione,

more ‘a speranza, more ogni passione;

e sulo quanno a sera è già calata,

truove ‘o paese…ma nun stai scetato!

Gennaro Autoriello, “un uomo che restò nel cor fanciullo”,  s’incantava contemplando un petalo rosa che scivolava sull’acqua di un fiume, sotto l’azzurro del cielo: paragonava quel fiore dissolto ad un amore che l’esistenza trascinava lontano e che, pian piano, svaniva nel nulla. Nei suoi pensieri tornavano i giochi innocenti dei bambini: avrebbe voluto restare per sempre “ guaglione”, sentire perennemente la gioia di un giorno nato nella luce, cercare sulle ali del vento i sentieri del sole, vedere la primavera nei rigori del gelo e gloriarsi di sentirsi padrone di tutte le cose nel mondo. Ma poi, concludeva: “…e quanno ‘o scuro, po’ sarrà arrevato/tu lassaraie a chi t’ha sempe amato,/ ‘nzieme a na cascia, tutta chiena e suonne/ ‘nu suspiro, na lacrema e nu vaso!”.

Non ha lasciato questo: il dono dei suoi sorrisi, la cura ed il sostegno offerto a chi ne aveva bisogno, la sollecitudine profusa per dar sollievo all’umanità dolente ce lo fanno presente e vivo. L’amico Gennaro c’è e, come ha fatto poesia tra le magnificenze di Napoli, continua certamente a farla dove i suoi meriti avranno acquistato maggiore e riconosciuto splendore.

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