Mio nonno ed io non ci conosciamo “de visu”, ma sono cresciuta nel suo ricordo, alimentato in famiglia da mia madre Liliana e da mia nonna Diana che me ne hanno parlato con amore e rimpianto.

Al di là del nostro legame parentale, l’ho sempre visto come un uomo superiore e unico. Per la sua arte, prima di tutto, ma anche per le sue doti intellettuali e morali. La sua generosità è nota a tutti: lo portava ad aiutare il prossimo nella più assoluta riservatezza, perché, spiegava, “non voglio costringere la gente a dire grazie”. Ma io, di mio nonno, amo ricordare soprattutto l’umiltà con una frase che mia madre cita spesso: “Nessuno si ricorderà di me dopo la mia morte” diceva Totò. “Un falegname lascia come traccia della sua attività, per esempio, un tavolo di legno, io, da attore, lascio solo parole destinate all’oblio”.

Mio nonno non immaginava certo che sarebbe rimasto per sempre nella memoria degli italiani, in un mito tramandato di generazione in generazione. Considero quelle sue parole cosi semplici e modeste una preziosa lezione di vita: esprime la sua filosofia, per cui, chi ostenta presunti privilegi è semplicemente “un trombone”, irriguardoso verso le persone meno fortunate di lui. Una categoria da condannare come quella dei “caporali”, odiosi perché esercitano il loro potere sui più deboli.

In questi ultimi anni dove mi sono addentrata sempre più nel mondo del de Curtis uomo, ho voluto riconsegnare al suo pubblico la sua raccolta di poesie e liriche complete, dandogli come titolo “il Principe poeta”. Principe per il suo animo nobile e poeta perché la parola ha sempre avuto un gran  valore nella sua vita. Quando Antonio de Curtis indossava la maschera di Totò, diventava un inventore della parola. Quando tornava a essere quello che sentiva di essere e cioè un principe, la parola diventava espressione fedele dei suoi sentimenti e del suo pensare.

A questo punto saluto i lettori di Buon giorno Napoli affettuosamente regalando loro questi suoi versi:

Quando me trovo all’estero,

e chesto spisse capita,

parlanno m’addimandano

se j’ songhe italiano.

“No, no – rispongo subito –

J’ so’ napulitano!”

Allora le cose cagneno,

‘e femmene sorridono,

m’acchiapano, m’afferrano

pe’ me senti ‘e parla!

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