Il carciofo: il “Re dell’orto” e le sue varietà campane

Il carciofo: il “Re dell’orto” e le sue varietà campane

Definito il “Re dell’orto” da Carlo di Borbone, il carciofo rappresenta uno degli ortaggi maggiormente presenti in Campania. La sua coltivazione ha origini antichissime, risalente con tutta probabilità all’epoca romana, anche se le prime informazioni risalgono al XV secolo. In particolare, queste ultime fanno riferimento al “Carciofo di Schito”, una zona posta alla periferia nord di Castellammare di Stabia e caratterizzata dall’essere stata formata dai depositi di lava e lapilli emessi con l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.

Ad oggi, il territorio campano vanta le seguenti otto varietà di carciofi:

il Carciofo di Procida, coltivato tra febbraio e marzo nella più piccola delle isole del golfo di Napoli e caratterizzato per i suoi capolini primari di grosse dimensioni e di forma globosa, verde chiaro con venature violacee e capolini secondari di dimensioni inferiori e di colore più tendente al viola, consumato oltre che fresco, anche sott’olio;

il Carciofo di Castellammare, detto anche Carciofo di Schito o Violetto di Castellammare, per il suo colore tendente al rosa che sfuma nel viola. Coltivato da febbraio a maggio, si caratterizza per la sua antica tecnica colturale: si usa coprire la prima infiorescenza con coppette di terracotta, realizzate a mano, per proteggerlo dai raggi del sole;

il Carciofo Pignatella, anch’esso coltivato attraverso la tecnica delle coppette di terracotta, utilizza dal momento in cui compaiono i capolini fino alla loro raccolta, conosciute come “pignatelle”. Trattasi di un varietà di carciofo molto antica il cui termine lo si ritrova negli scritti di Plinio il Vecchio. Coltivato da marzo a giugno, raggiunge la sua massima produttività  nel mese di aprile. Si consuma fresco, condito ed arrostito o in parmigiana di carciofi, mentre i capolini più piccoli sono sfruttati per la produzione di sott’oli;

il Carciofo Capuanella, tipico della città di Capua, di colore verde scuro e di media pezzatura, coltivato tra la fine marzo ed inizio aprile. Tradizionalmente utilizzato per essere cucinato arrostito, in un apposito tegame forato alla base e posto sulla brace, condito con olio, aglio e prezzemolo;

il Carciofo di Pietrelcina, coltivato tra marzo ed agosto nella provincia di Benevento con un procedimento che prevede il taglio estivo degli steli e l’eliminazione dei germogli superflui che vengono depositati sulle infiorescenze immature per preservarle dai raggi del sole, così da renderlo particolarmente tenero e dal sapore delicato;

il Carciofo di Montoro, prodotto nel mese di aprile nella provincia di Avellino e caratterizzato per la sua particolare coltivazione che necessita frequenti irrigazioni. Anch’esso protetto con tazze di terracotta, per difendere i capolini dall’azione lesiva del gelo, presenta una consistenza tenera, oltre all’assenza di spine, tale  da renderlo ottimo per la cottura  alla brace, con condimento di olio, sale, aglio e prezzemolo;

il Carciofo bianco di Pertosa, coltivato da metà aprile a fine maggio in un’area ristretta della provincia di Salerno, tra i comuni di Pertosa, Auletta, Caggiano e Salvitelle. Il suo colore si differenzia da quello delle altre varietà campane, essendo molto chiaro, tendente all’argento. Sebbene molto antica, la sua produzione nel ‘900 era quasi a rischio estinzione e, soltanto grazie ad un gruppo di agricoltori che hanno formato un consorzio di tutela, la sua coltivazione è stata ripresa fino ad arrivare ad una superficie di produzione di circa 15 ettari. Viene consumato seguendo numerose ricette tipiche del territorio;

il Carciofo di Paestum , o Tondo di Paestum, certificato I.G.P. dal 2012 e coltivato nella zona limitata ad alcuni comuni limitrofi a quello di cui porta il nome tra i quali Agropoli, Albanella, Altavilla Silentina, Battipaglia, Bellizzi, Campagna, Cicerale, Eboli, Giungano, Montecorvino Pugliano, Ogliastro Cilento, Pontecagnano Faiano e Serre. La sua diffusione nella valle del Sele risale alla fine degli anni ’20 del ‘900, in seguito alle vaste opere di bonifica del territorio. Carciofo ti tipo romanesco, caratterizzato dall’aspetto rotondeggiante dei suoi capolini, dalla loro elevata compattezza e dall’assenza di spine, viene coltivato dal febbraio a maggio.

15 Ottobre 2020

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *