La profana sacralità del culto di Maradona

Io ed il calcio siamo due universi distanti; quello giocato e quello tifato.
Maradona però non è stato solo questo.
Noi avevamo la camorra, è vero, ma avevamo anche Maradona.
Finiva sempre così ogni discussione con i “non napoletani” che incrociavo durante la mia infanzia.
Una volta, per esempio, ero ad Assisi, ed un prete, mi disse «Dev’essere bella Napoli, ma io ho paura a venirci», eppure poi mi chiese se avessi mai incontrato Maradona.
In una città come Napoli quell’uomo ha conosciuto la santità che si deve a chi viene accostato al riscatto sociale; in un centro sociale a Napoli, Je so pazzo, campeggiano le immagini di Maradona e Che Guevara e, senza voler fare paragoni stupidi, è chiaro che c’è un senso profondo in questo accostamento.
Dietro alle porte delle case, accanto alle foto della statua di San Gennaro, ai rosari, alle fascette di grano, c’era anche la foto di Maradona ed era da osservare con rispetto e mistero. Era solito porgere i bambini a Maradona perché li “benedicesse” col suo tocco; le persone si accalcavano sempre con frenesia quando il Pibe De Oro si fermava a giocare per strada o al porto, palleggiando con della frutta per la gioia del “suo popolo” o dei giornalisti.
Il sacro è fatto di cose così e se molti, oggi, hanno il cattivo gusto di elencare la fallacia e l’umanità di Maradona o il grado di corruzione che ha raggiunto la sua figura, facciano pure.
Il Maradona persona non ha a che fare nulla, ma proprio nulla, con il Maradona santo che a Napoli viene venerato. È vero, oggi è morto un uomo, ma è morto anche un santo in vita.

25.11.2020

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