Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato

Consento pienamente con le lodi meritate dalla nostra magnifica gente, con i riconoscimenti tributati ai nostri scienziati, che non sono secondi a nessuno, e non sto qui a dissertare sugli sprechi,sulle connivenze di poteri, su quello che potrà accadere, quando la voce della miseria si farà sentire in inevitabili assembramenti   consentiti o addirittura vietati. Certo i polli nella stia non vanno a razzolare, ma quando varcano il pollaio, cercano i campi aperti e soprattutto il mais, se non trovano il grano. Mi rattristano gli esiliati, i condannati a far parte dell’Italia raminga e penso alle vigorose eccellenze che occupano all’estero posti di grandi responsabilità. In tempi di sventura trovo deprecabili le voci che si auto consolano, affermando che i mali comuni sono un mezzo gaudio, specie in tempi di crisi pandemiche. Non posso però consentirmi di sottovalutare la portata di scelte opportunistiche, imprevidenti e sconsiderate che hanno comportato  tante fughe di cervelli di casa nostra, numeri chiusi alle facoltà impegnative, ripensamenti tardivi e deprecabili, per cui  nell’incalzare dei bisogni, che sono tanti e diversificati, si sono risvegliate le nostalgie. Diciamolo chiaramente: avremmo voluto a casa tante menti elette che sono state costrette a emigrare e a farsi strada a costo di evitabili sacrifici. Tant’è; abbiamo intanto concesso agli appiedati di fornirsi di biciclette e qualche buontempone ha commentato: va bene così; i novelli possessori di due ruote quando cominceranno a far sentire la loro voce, si sentiranno rispondere: avete voluto la bicicletta? Pedalate! Diventiamo seri. Lasciamo perdere anche le versioni confuse, che abbiamo subito a iosa, le informazioni di disturbo, che ci sono state propinate senza risparmio, le accuse di parte per scelte sbagliate, le denunce di abusi che ci  hanno costretti a ripensamenti. Ora conosciamo dove sono ubicati mega ospedali progettati da grandi architetti, arredati da esperti del settore, reclamizzati come punte avanzate d’accoglienza e poi abbandonati al loro destino. I commenti televisivi non hanno lasciato dubbi e le  acquisite consapevolezze non ci hanno certo tranquillizzato nel panico e nell’affanno. Diciamolo chiaro: quelle erano prove di scelte sbagliate e di tradimenti alle cittadinanze.  Ci siamo resi conto che nulla potrà andare bene finché le lentezze burocratiche e le incurie andranno a braccetto: le demolizioni costano più delle nuove costruzioni cui si dovrà porre mano e diventeranno redditizie solo per pochi eletti. Non ci riguardano neppure le eruzioni degli scandali che proliferano nelle pandemie. Guardiamo al futuro, che ci sarà, se sarà assicurato il lavoro a chi esige di vivere dignitosamente. Purtroppo anche nelle più virali delle situazioni, i vivi si rassegnano, gli speculatori esigono giustizia e rimborsi, i lutti subiti lasciano ferite insanabili: qualcuno le porterà per tutta la vita. Qualche altro erediterà e migliorerà la propria posizione.I già ricchi scialeranno, tutto sarà più bello nella facciata  e per non offendere le altre religioni non si canterà neppure un Te Deum di ringraziamento. I forzati alle quarantene alzando gli occhi al cielo notturno si sono stupiti di ritrovare lo stellato, nel sole la vista si è estesa su panorami dimenticati, proprio come quei barboni che hanno lasciato le loro spoglie nelle dimore di cartone. Intanto continuano a sfoltirsi le presenze dei vecchi con grande sollievo degli istituti di previdenza e con la disperazione dei figli disoccupati, esclusi per età dalla possibilità lavorative, che attingevano alle pensioni dei genitori, augurandosi che vivessero a lungo , perché fonti dei loro temporanei sostentamenti. Insomma solo gli incoscienti non son frastornati. In tanta confusione mentale mi riconcilio con la saggezza della mia città  che dopo l’inesorabile snebbia la mente secondo la tradizione. Lode quindi a Valente e a Fiorelli autori di quella canzone in cui s afferma che a nulla vale rivangare il passato. Il mondo è una ruota, nel giro c’è chi sale e chi scende. Se la pandemia si rarefa, si smorzano anche i toni delle miserabili guerre in atto. La formula risolutiva resta comunque quella racchiusa nei versi della canzone Simmo ‘e Napule…, paisà   che nessuno canta più e si dovrà riscoprire per ritrovare il gusto e la passione per la vita: chi ha avuto,ha avuto, chi ha dato ha dato; basta che spunti il sole, che non manchi il mare, che sia appassionato l’amore  e tutto si può sopportare, senza rancori che comportano tumori. Basta qualche sterzata, qualche sferzata, se messi alle strette, e si ricomincia. Spetta a chi è deputato a farlo, progettare le giuste soluzioni ed essere convincenti, perché, napoletanamente, potremmo anche essere disposti a dimenticare, ma è tempo di non inventarsi soluzioni che non hanno costrutto. La politica che subisce l’attentato endemico della prepotenza partitica deve rendersi conto che le libertà civili non si fondano sulle massificazioni acquiescenti, specie se vacilla l’economia e quest’incubo diventa più inclemente per gli effetti della disoccupazione. I mali comuni non sono gaudi a metà. Queste riflessioni non hanno conclusioni e, intanto, vorrebbero sottrarsi all’ammasso delle  promesse, di cui non è facile fidarsi. Su quelle, comunque condite,  il buonsenso non riesce a fare affidamento per venir fuori dalle urgenze drammatiche.Mi piace a questo punto proporre un aneddoto, annotato da Decio Carli nel primo volume dell’Enciclopedia del Centenario della vita nazionale, in cui si celebrano i napoletani che a quella parteciparono attivamente. Durante un’epidemia, l’attore Moreno aveva l’incarico di segretario della Croce Verde. Squillò il telefono. Moreno dormiva: il telefono incalzava. Moreno dovette necessariamente strofinarsi gli occhi e rispondere.

– Pronto, pronto, chi parla?

-Sezione Porto; che volete?

– Quanti casi oggi?

–Tredici.

– E quanti morti?

–Diciotto

– E com’è possibile cinque morti in più?

–So’ chille che v’aggio fatt’io, quanno m’avite scetato ‘a din’ ‘o suonno!

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