Ho parodiato nel titolo uno slogan trapassato nella memoria, un antico ritornello che nessuno canta più, ma ben si addice all’indaffaratissimo furore degli acchiappavoti, agguerritissimi nella insopportabile calura di questo agosto generosamente prodigo di notizie funeste. Si danno da fare, spesso in calzoncini corti e magliette; consultano agende e stilano lunghissimi elenchi di parenti e amici degli amici, da contattare in sudor frenetico e discorsi a raffica persuasiva: tutti chiariscono che non c’è tempo da perdere. Lo esigono coscienza civica e impegno: guai a chi rinuncia all’occasione propizia. Vacanze? Neanche a parlarne; magari le fatiche d’agosto saranno compensate dagli esiti sperati, settembrini, che, se faranno breccia, coincideranno con una data che alcuni italiani sentitamente ancora commemorano. Il XX settembre 1870, con La Breccia di Porta Pia e La Presa di Roma, segnò la fine dello Stato Pontificio; nel grido “O Roma o Morte”, la Città eterna divenne capitale d’Italia, e nelle vicende che seguirono l’itala gente dalle molte vite e ville, se non si distrasse troppo, apprese che dalle virtù patrie derivarono, con enormi, eroici, sacrifici quei valori repubblicani che Buongiorno Napoli esalta e difende perché Beni irrinunciabili. Niente accade a caso: la coincidenza di un indimenticabile anniversario e di un referendum, che nelle prospettive si giustifica come toccasana per le bilance dell’economia dell’Italia, merita qualche riflessione. Chissà se ce la faremo a rinnovarci veramente nella consapevole e corretta gestione della politica che come la fa la sbaglia, almeno nelle esuberanze del contradditorio che alimentano la sfiducia. Intanto la libertà del voto è certezza di esprimere, secondo coscienza, la propria volontà di affidamento. Non ci fa sorridere l’agitazione sfrenata dei giovani sudatissimi, speranzosi che, in virtù del loro inserimento in una lista di partito, possano ambire, in pieno agosto, a un posto al sole. Li immagino intontiti dai discorsi di chi li istruisce e li manda all’attacco, li vedo impegnati come rappresentanti di commercio che reclamizzano la loro mercanzia, pronti a denigrare i prodotti della concorrenza. Da questi malanni non ci salverà nessuno e chissà quanti di questi neofiti dovranno leccarsi non metaforiche ferite, perché la virale partitica impone la lotta senza esclusione di colpi. Allora, se la ragione non dà lume, valga almeno il buonsenso. Bisogna andare a votare, occorre informarsi, evitare i pestiferi persuasori che cercano di accaparrare voti per i loro accoliti con non sempre leciti allettamenti. La democrazia non è allevamento d’ignoranza e di scelte velleitarie: esige partecipazione e fuga dall’ammasso. Usciamo dalla confusione; rendiamoci conto che è preferibile seguire il proprio estro piuttosto che subire l’imposizione. Vi assicuro che investigando ci siamo accorti che solerti predicatori in attesa di sospirate grazie, appartenenti alla medesima lista del partito da sostenere, invece di sorridersi, si guardavano in cagnesco. Questo in agosto. Figuriamoci poi a settembre, quando, secondo malcostume, i neo gratificati cercheranno di ricacciare nell’ombra il ben fare altrui. Allora è necessario andare a votare, informarsi, diffidare dei sorrisi in cartelloni e manifesti giganti ornati di motti, banali come i pensieri che li hanno suggeriti, senza neppure tentare di condirli con le spezie della fantasia. Per scegliere un uomo è necessario verificare da che parte sta, da quando ci sta, senza ripensamenti ballerini, restando fedele all’idea o meglio all’ideale. Ho avvertito l’urgenza della presente nota, perché mi son ritrovata tra le mani Il Ponte, Anno I, N.1, Aprile 1945, la rivista mensile diretta da Piero Calamandrei. Che meraviglia quell’emblema in copertina, così semplice, essenziale, significativo. Un programma: “un ponte crollato e tra i due tronconi delle pile rimaste in piedi una trave lanciata attraverso, per permettere agli uomini che vanno al lavoro di ricominciare a passare”. Che meraviglia quel ponte tra passato e avvenire, che efficacia nelle sollecitazioni a collaborare al progresso del mondo, all’unità nazionale, alla patria italiana e a quella umana di cui tutti gli uomini sono cittadini. Torno spesso a quella lettura che invita a ritrovare la fede nell’uomo, per fare la storia degli uomini del nostro tempo e di quelli dell’avvenire che non meritano d’essere illusi, sfruttati e gettati via quando non servono più. Andiamo a votare per risalire dall’imbestialimento riottoso; responsabilizziamoci, cercando di far capire che non sono i banchi monoposto a garantire le distanze di sicurezza, ma i docenti esperti del mestiere e formati per formare. Insomma catechizziamo gli uomini liberi dai pregiudizi al rispetto del voto: questo è tutto, per non confondere la politica con l’incollaggio alle poltrone, che garantiscono reddito e spesso alimentano scarsa attenzione agli impegni assunti. Non sta a me chiarire perché i numeri ridotti dei politici escludono dal coro voci non favorevoli all’omologazione. Insomma, invece del lamento generalizzato e della rinuncia a ragionare col cervello e con il cuore, chi s’informa e si orienta, almeno può indirizzarsi ed esprimere con convinzione un parere partecipato. A questo punto mi piace richiamare l’attenzione di quelli che ci seguono sui motti che figurano sotto le sembianze sorridenti che, nei manifesti giganti, pubblicizzano le loro scelte impegnate. Fateci caso: sono di una banalità che palesa soprattutto la mancanza di fantasia. E qui scatta il riso amaro: Avremmo preferito rime baciate : Sol chi vota Carolina è una buona cittadina; Si nun viene a me vuta’ tu fai chiagnere a mammà; Questa è l’occasione buona: meritata ho la poltrona; Solo se sarò votata vi darò pizza quadrata; Viaggio nella dinastia: vota nonna, mamma e zia; Tutti insieme canteremo: io vi porterò a Sanremo; Non ho chiare le mie voglie, ma, se eletto, prendo moglie… Meglio uno scatto di dignità che il tardivo pentimento d’essere stati, complici incoscienti e consenzienti. Insomma è tempo di lavorare per poter lavorare e assicurare lavoro, per accorciare le distanze, per aprire varchi di volontà impegnata ad essere seri, sinceri, con l’obbligo della buona fede tra chi governa e chi sceglie da chi essere governato. Non vorremmo che agli italiani, tutti, fosse assicurata una fornitura di martelli da calzolaio, quelli con la testa tonda e larga, per renderli autonomi nello schiacciare i virus delle pandemie in atto e a venire.

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