Raffaele Bocchetti: divine terre d’infinita poesia.
Dove il sole dardeggia di purissima luce sublimi armonie nei massimi fulgori, Bocchetti affigge la vista della mente e del cuore a ritrovare, scoprendola sempre nuova, l’amata terra flegrea che dall’ancestro elargisce lirici trasalimenti, proponendo, nel contempo, alla sfera emotiva visioni convulse e moniti d’orride soglie oltremondane. La tradizione mitica degli archetipi dell’effimero, della precarietà e del mister in queste terre impareggiabili si ritualizza tra rischiose imminenze e vitalissimi fervori naturali: gli sconvolgimenti metamorfici, tra lenti presagi di inabissamenti inesorabili e di rapidissime emersioni, accadono da sempre sotto l’occhio del sole ch’è solus, solo dator di vita, luce incorruttibile e della luna che è l’una, l’unica impareggiabile signora delle maree e delle stagioni vitali per le creature della terra.
Raffaele Bocchetti nei fertili anni di dimestichezza con gli incanti dei luoghi che alimentano le sue ispirazioni poetiche e pittoriche ha lasciato che i suoi mobilissimi occhi e pensieri si colmassero dei portentosi effetti di direzioni plurime e, quindi, seguissero altrettante logiche che si colgono nelle vibrazioni dei suoi colori, nei segni che vivificano ariose immersioni nell’immenso.
L’artista è avvezzo a cogliere a piene mani visioni e meraviglie che si combinano tra bozzetti, idilli, brani di memorie: il vissuto transita tra variat interferenze di espansioni cromatiche: si accendono in brani paesistici e gli accadimenti, tra poesia dipinta e liricità coloristica trasferita in parola, gli consentono di accedere alle meraviglie nei giorni di tutti, giustificando la pena quotidiana e la nozione del dolore, anche implacabile nell’estrema minaccia.
Gli uomini umani saranno sempre sconosciuti a se stessi, perché il dissidio tra il corpo e l’ombra dell’esistenza li propone nelle contraddizioni della loro disparità, però il dono incommensurabile dell’amicizia attiva strumenti di conoscenza che varcano le comuni soglie di comprensione e partecipazione.
L’amicizia rispetta i suoi valori, percepisce il minimo accenno di crisi e si rallegra al ritrovato sapore d’esser vivi della persona cara che si sceglie elettivamente, e soprattutto per sintonie di canti e di ideali.
Senza stare a contare manciate di mesi, l’amicizia che mi lega a Raffaele Bocchetti sta volgendo al mezzo secolo. Ci siamo incontrati quando prediligeva la pregnanza realistica: era allora una scelta condivisa, quella di interpretare la cronaca da denunciare per gli evidenti scompensi e trasferire in immagini le tensioni vitalistiche in chiave espressionista. Non gli difettava la vena poetica, era un fedele custode di memorie che, nel nostro tempo, sono maturate in pregevoli narrazioni. I suoi disegni erano caratterizzati da rapidi guizzi e fratture proprio per dare il senso di folgorazioni, di baleni intuitivi, in cui i bianchi non invasi rendevano espressivi gli accenni somatici e gli impeti dei cavalli in corsa nel vento, vitalisticamente accesi nell’ebbrezza dei loro vigori. I deliri del cuore erano di scena nei sacri Luoghi flegrei ricolmi di sole e di mare. Siamo stato compagni d’avventura in eventi espositivi e negli incontri di famiglia sempre gioiosi: lo scorcio di mare sul quale affacciava la sua casa di La Pietra gli si è inciso negli occhi. Gli anni sono avanzati con le loro inclemenze e,
nel tempo in cui i sentimenti ritrovano le stagioni che precedono quelle delle ragioni della ragione, riscoprendole nei palpiti di una poesia sempreviva, si è fatto cantore flegreo nelle vive luci della vita presente e delle memorie dei miti che persistono nei nomi dei Luoghi e alimentano la fantasia.
Nostos e algos s’incontrano sempre negli spazi della luce e la nostalgia potrebbe pungere dolorosamente, se non intervenissero l’amore per la vita, la gioia d’ogni rilettura dei sentimenti ritrovati intatti, il senso meraviglioso dell’appartenenza che mai distolse Ulisse dagli scogli della sua Itaca. Bocchetti nel fervore delle sue attuali tensioni creative più strettamente abbraccia i Campi Flegrei, mare e vele nel respiro del vento, barche in riposo, incanti che per lui, amante della musica, confluiscono in canti di passioni visionarie e allora alla pittura subentra o si affianca la poesia che spazia tra pensieri inquieti, varie ore del giorno, consapevolezza d’appartenere al mare, perché la Sirena del mondo dalle onde chiama e colma di sogni l’attesa. Raffaele Bocchetti dona i suoi sogni a chi ne intende il senso; egli stesso non potrebbe accettare di vivere senza sogni: significherebbe temere l’incubo di una primavera senza fiori, novelle foglie e nidi di quelli uccelli che ci inebriano con i loro canti.
Egli stesso afferma che il vero senso dell’esistenza si distende nello spazio dei sogni, che altro non è se non quello dell’arte, nella quale, in un baleno il pensiero ritrova la nave di Enea, la tromba di Miseno, la tragica fine di un eroe che da il nome a una delle più belle località del nostro golfo, nel quale gli eroi potevano accedere all’Ade e finalmente essere sicuri dei vaticini che ricevevano, acquistando coraggio, per portare a termine le loro imprese. Nei versi Bocchetti dipinge il sole rosso, che colora di sangue il mare e fa percepire i passi lenti, i quali fanno scricchiolare le foglie cadute: prenderanno le ali dal vento. Sono veramente toccanti le immagini del buio che s’infittisce su Nisida e la propone fantasma alla fantasia che ignora dove le sarà concesso un approdo. La magia dei versi che cantano Licola e di quelli che nel respiro del mare vedono emergere Miseno, adornano gli spazi mentali di un uomo consapevole,che il suo nutrimento fisico deriva dalla terra, ma che la meta è oltre i cieli che celano. Il presente volume, in cui reciprocamente, immagine e versi, si inverano investigando i segreti dei Campi Flegrei, si propone come un’opera d’arte in cui immagini e parole, tra luci e forme in dissolvenza nelle abrasioni della luce, fanno ritrovare le fonti di passioni primitive ed ebbrezze d’incantamenti, noti a chi felicemente approda ai Campi Flegrei. Balenano al pensiero squarci di storia antica e nulla vieta, che, incontrando un viandante che ebbe antenati e natali a Baia, Bacoli, Cuma, Monte di Procida, Pozzuoli, Ischia, l’occhio del poeta non ravvisi sembianze d’altri tempi, che tornano nel sangue rinnovato.
Le presenze cha hanno un cuore antico, non confonderanno mai quelli flegrei con gli altri azzurri, i verdi, i gialli i bianchi che si combinano con gli effetti quotidiani della vita e li distillano nella luce, quei rossi che si lasciano attraversare da striature d’oro e fanno parte, non solo della scena naturale, ma anche di quella che esige cuore e pensiero a sfidare l’ineffabile. La primavera è sempre alle porte: l’inverno dura poco, dove i Cimmeri si ripararono negli antri bui e i greci eressero il tempio al Sole sulla rocca di Cuma.
Angelo Calabrese