Le botteghe delle arti e dei mestieri

Quelli che mi restano impressi nella memoria, erano veramente uomini-territorio. Del rione conoscevano tutte le pietre che cantano, chiese, portali, monumenti, emblemi e simboli connotativi di fasti araldici e di testimonianze che i grandi della storia vollero a loro perenne gloria celebrativa. Il vivacissimo ingegno, che appartiene a tutti i costruttori d’umanità, e a quegli uomini storici che creano eventi reali, auspicati da Gramsci, perché propositivi di valori umani e di civiltà del lavoro, li aveva dotati di curiosità e di inventiva: già dalla prima gioventù sapevano affrontare responsabilità imprenditoriali.

Le loro abilità gareggiavano nelle eccellenze produttive, vanto della Città e del contesto territoriale che aveva quelle botteghe come punto di riferimento. Già nell’adolescenza avevano una vasta conoscenza dei procedimenti tecnici di trasformazione delle materie prime utilizzate dalle loro famiglie di artigiani, orgogliose di proporre prodotti esemplari. Tanto fervore operativo si è disperso e sembra vanificato alla memoria, che resiste negli antichi discepoli,ormai avanti negli anni, testimoni di storia civile, narratori di ricordi del buon tempo antico, vissuto  e non perduto nel cuore e nelle mente. Questi superstiti si ritengono travolti dalla storia transitata dal lavoro a bottega a quello industriale.

C’erano una volta le botteghe delle arti e dei mestieri. Erano quelle dei trisavoli, dei nonni, dei padri e poi dei figli, ma più raramente, perché troppo forte la tentazione di liberarsi dalla fatica, che stanca, logora se non si trasforma in lavoro e progressivo sviluppo della dura attività iniziale. In origine, con tutti i sacrifici di un’intera famiglia, a stento si aveva di che campare. I figli d’arte avevano precocissima dimestichezza con gli utensili che consentivano un sempre più competente e creativo dominio dei materiali: ‘e fierre fann’ ’o masto, si ripeteva di frequente e non era raro il caso che l’ingegno artigiano escogitasse adattamenti o invenzioni di strumenti di lavoro che consentivano ottimi ritrovati per una esecuzione d’opera di particolare perfezione e originalità. I prodotti del valente artigiano si distinguevano da quelli degli altri: al confronto, potevano apparire addirittura di dozzina. Lo stesso masto inventava i suoi attrezzi per affinare i segreti del mestiere. Era la creatività che faceva la differenza e valeva per l’opera dell’artigiano la stessa formula che il grande Vitruvio aveva sancito per l’architettura romana. L’utilitas, vale a dire la perfetta corrispondenza alla funzionalità, veniva associata alla firmitas, alla consistenza dell’oggetto, che doveva durare nel tempo, e alla venustas, all’estetica, che nella preziosità distintiva, conferiva un’aggiunta di valore al manufatto. Il maestro artigiano aspirava così alla poesia, varcava la soglia dell’ordinario e, dal mestiere dominato con raffinata competenza, transitava nelle logiche dell’Arte.

Anche se tutt’ora sussistono delle resistenze dovute a non sempre motivati pregiudizi, l’opera dell’artigiano/artista non si pone in discussione: la stessa tentazione a risignificare indica un recupero che rispetta l’oggetto addirittura in disuso e gli spalanca orizzonti ulteriori. Ho avuto la buona sorte di vivere in tempi ormai perduti, nei quali l’orgoglio delle mani operose valeva a garanzia di tutela familiare: ogni vero nucleo affettivo si consacrava sulla sostanza della testa per pensare, delle mani per fare e dei piedi per andare. Del resto l’esempio della Sacra Famiglia ci aiuta a comprendere il senso dell’incivilimento, come procede dal mito di Prometeo, che ruba i semi del fuoco agli dei dell’Olimpo, liberando così gli uomini dalla ferinità, e si sublima poi nell’esempio di quell’incomparabile coppia di extra comunitari che si erano recati a Betlemme per rispettare l’obbligo del censimento.Giuseppe era un euerghetès, un valente artigiano, cui spettò il merito di contribuire a cambiare la storia del mondo. A Betlemme,che significa casa (beth) del pane (lemme), i due coniugi non ebbero né tetto né pane, ma trovarono rifugio in una grotta, un utero naturale da cui venne poi fuori la Sacra Famiglia.

Il sogno sospirato di buon governo, di leggi applicate con giustizia ed equità, mai perduto nei desideri di tutta una vita, mi fa immaginare una stella cometa che guida i grandi della terra fin dove è nato il Figlio dell’uomo. Giungono i Magi e assicurano alla Famiglia un sicuro avvenire. L’oro significa per me l’equo compenso che si deve a chi sa lavorare con competenza e giusti meriti. L’incenso è significativo di quell’onore che si deve all’Idea superiore, senza la quale non c’è opera e condizione umana che valga. Senza elevarla ad un’idea superiore, la famiglia sarebbe solo un visibile nucleo primario di persone, un genitore, una genitrice, il frutto della loro unione naturale. Il senso della famiglia non è né visibile né tangibile, non si vede e non si tocca, c’è o non c’è; e questo vale per ogni umana attività: non è concepibile lavoro operaio, artigiano, professionale, culturale ed artistico che non si ispiri ad una filosofia, fonte di valore, cioè di tutela e rispetto per la vita. L’incenso è significativo della religiosità, senza la quale l’esistenza non avrebbe né riferimento né senso. La mirra vale per non nullificare l’attraversamento dopo l’uscita dal mondo. I fautori del nulla potrebbero essere in sintonia con il vero temporaneo della scienza, ma rifiutano la pietas che segue all’istituzione di “nozze, tribunali ed are” e dei sepolcri che giovano, come afferma il Foscolo, ai consapevoli eredi dei grandi del pensiero e delle virtù patrie.

Nel nostro tempo dell’incertezza molte mani artigiane si sono perdute: solo per poche, nei mestieri d’alta professionalità regge ancora l’aggettivo, ma il discorso è competitivamente elitario; riguarda settori per i quali, il Made in Italy è incomparabile. Pochi artigiani resistono e, finché gli anni lunghi e le forze lo consentono, continuano a proporre i loro prodotti con quell’amore geloso che connota, simbioticamente, la dedizione umana e il mestiere d’elezione. Sono i continuatori di quella che ci ostiniamo a definire tradizione,e che nel nostro tempo va intesa come l’aria che si respira, l’essenza del fare che dal contesto antropologico è filtrato in quello etnostorico, nel presente dei giorni di tutti che serba le memorie, i valori museali e ritualizza i miti, rievocandoli.

Purtroppo non è facile rendersi conto che metodi, materiali, tensioni abitative e sociali, nella loro evoluzione, come nel degrado, non consentono di utilizzare dei materiali e dei metodi che la scienza ha dichiarato addirittura nocivi per la salute. Un orafo che continuasse a lavorare gli smalti come si faceva in passato, rischierebbe molto di più dell’insorgere di quelle malattie “professionali” che venivano accettate come necessarie conseguenze dei sistemi di lavorazione. Sembra incredibile che un pastaio, un tempo addetto alla gromola, fosse segnato sulla fronte da una callosità che aiutava le mani a spingere l’asse della pressa che torchiava l’impasto. Prima di diventare utile callosità, quell’escrescenza era venuta fuori da una ferita aperta che via via si era trasformata nel segno tangibile del mestiere che l’artigiano sapeva svolgere con particolare perizia. Era di giovamento anche quell’altro tipo di callosità che caratterizzava le donne esperte nella lavorazione, a mano, dei fusilli. Riuscivano a farne diecimila al giorno, grazie a quella deturpazione di cui si avvalevano, che partiva dalla parte estrema del palmo della mano e si prolungava lungo l’avambraccio fino al gomito. Né meno connotativamente nobile è il callo custodito nel palmo della mano da ogni valente cammeista.

Non è questa la sede per parlare di tanti inconvenienti di percorso, nei quali incorrevano gli artigiani di un tempo. Chi si incantava di fronte al prodotto finito, nulla sapeva dei rischi dell’incudine, delle lame affilate, degli acidi, degli ossidi e dei tanti mali ai quali si era esposti a causa di quelle diavolerie inevitabili cui erano, ed ancora sono esposti, molti artigiani, spesso ostinati a realizzare preziosità che pongono a rischio la loro incolumità e la buona salute. Non dimentichiamo che molti esperti maestri, nonostante le precauzioni si son trovati mutilati o addirittura sono usciti dal mondo ignoti eroi.

Ai lettori di questa pagina rivolgo l’invito a dare al nostro giornale testimonianza di forti artigiani che hanno dato lustro alla loro famiglia. Sarà per noi un onore accogliere tutte le notizie e rendere omaggio alla loro produzione creativa.

Ornella Romano

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