Il Pane Cafone, tradizione napoletana. “So’ arrivati ca’ fun’…”

Il pane cafone, tra i principali simboli di Napoli, è un pane tradizionale, cotto a legna e lievitato naturalmente in sacchi di juta. La ricetta ha origini contadine, da cui il nome, e secondo la tradizione è nato alle pendici del Vesuvio. Si narra, infatti, che, sin dai tempi più antichi, i contadini scendevano dalle colline dell’area vesuviana per portare il pane in città e per non perdersi si legavano l’un l’altro con la fune (ca’ fune), motivo per cui si chiamerebbe cafone. Un sapere antico, iscritto nelle mani di nonne e bisnonne, che alcuni panificatori cercano, ancora oggi, di mantenere intatto. È un pane che richiede, per chi lo lavora, il rispetto di precise regole: l’utilizzo del lievito madre, alimentato quotidianamente con acqua, farina di grano tenero e sale e lasciato fermentare per diverse ore; la lievitazione lenta e su tavole di legno, l’avvolgimento dell’impasto in teli di juta per permetterne la traspirazione; la cottura in forni a legna con una base di pietra refrattaria. Un pane con delle caratteristiche indistinguibili: la mollica color avorio, morbida e con una buona alveolatura; la crosta, croccante e spessa quasi mezzo centimetro, tale da permettere la conservazione del pane anche per una settimana. Tra i vari paesi dell’area vesuviana, ce n’è uno in particolare dove la produzione del pane è diventata un pezzo della sua storia e della sua cultura, San Sebastiano al Vesuvio. Qui, a portare avanti la tradizione secolare dell’arte bianca, c’è Domenico Filosa, figlio di contadini che ha imparato, dalla sua nonna, a fare il pane meglio noto come pane a ott’, perifrasi ancora in uso per indicare il “palatone” croccante e buono da mangiare fino a otto giorni. Il suo criscito ha ormai più di ottant’anni e viene rigenerato puntualmente ogni quattro ore per non perdere vitalità.

02.02.2022

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