L’ho incontrato dall’ortopedico, che non riusciva a crederci: l’estenuante, incessante, ostinato zapping, prolungato per vari mesi, aveva reso elefantiaco il pollice destro del suo paziente, venuto a consultarlo per un rimedio che ripristinasse le funzioni di quel dito che gli era carissimo dalla prima infanzia, perché sostitutivo del ciuccio, quando gli veniva sottratto.

Nell’inerzia forzata degli imposti, epidemici domiciliari arresti, quel malcapitato, insofferente alla pletora delle informazioni a valanghe, sempre contrastanti, canalizzate da opposte emittenti e ai noiosissimi e stantii programmi di scelte imposte con repliche, libere d’essere solo esasperanti e punitive, aveva cercato  vanamente di trovare qualche comunicazione visiva di un certo interesse. La rabbia lo aveva invaso e quel vano pigiare sui tasti, sperando che i numeri a due e a tre cifre, tentati a iosa, sortissero qualche effetto miracoloso per effetti visivi e culturali veramente per uomini d’impegno civile e progressivo, aveva sortito un effetto disastroso. Quel pollicione mostruoso, se tanto mi da tanto chiariva in quali condizioni dovesse essere ridotto il fegato di quel malcapitato che aveva reagito con un lodevole ritrovato. Si era armato di carte e penne e aveva cominciato ad ironizzare su tutto ciò che subiva dagli impatti televisivi che gli davano la nausea. Nello studio medico eravamo in tre: lo imponevano le giuste ordinanze in progress, sempre in mascherina e potei quindi, in virtù dell’amicizia che mi legava all’esperto “conciaossa”, partecipare alle esternazioni di quel possessore di pollice fenomenale, da circo equestre, che cavò fuori da una borsa verde, idealmente intonata con la sua bile, prima costretta e poi in qualche modo liberata, un corposo faldone, ricco di fogli scritti a mano. Mi colpì la constatazione che quella pagine presentassero solo minimi segni di ripensamenti. Aveva intitolato Scremature quella raccolta che definiva di insipienze senza conservanti, rimedi a debellare gli eccessi di biliosa accidia. Visto il mio evidente interesse, cominciò a scegliere dei fogli nei quali si alternavano la lingua italiana e quella napoletana in sintesi eloquenti. Quel tale che continua a parlare con me attraverso il “raddrizza ossa” e di cui conoscerò il nome solo quando avrò espresso un giudizio sul contenuto dei suoi antichi e sempre validi rimedi, aveva fatto oggetto dei suoi strali le frasi ammorbanti della pubblicità insopportabile, delle opinioni reiterate ad oltranza, e aveva mixato un po’ tutto con effetti invidiabili per un enigmista. Tra incubi virulenti e dentifrici portentosi aveva infatti ironizzato:” Alito cattivo: a lito cattivo la distanza è benefica e salutare”.

Aveva anagrammato CORONA VIRUS, che era così diventato ROVINA CORUS  e CONOR VARIUS; si era chiesto se in ortopedia le compenetrazioni tra culture valessero quanto le compeneculture tra trazioni, e per quella rimpianta moneta di  cinquanta lire d’argento, inserita in un orologio che fa riflettere su come il tempo fugga e inganni, aveva annotato: “ Da ragazzi in tasca poche lire, ma…da vecchi, molto stanchi e malandati, pochissimi euro, senza se e senza ma”. Che dire poi di quest’altro ritrovato: Grattacieli, se il celeste prurito insorge e incalza, non grattateli, se non dopo aver accuratamente lavato le mani. Non sussistono raccomandazioni per le unghie comunque listate e impreziosite da funghi”.

Gli era inoltre giovato scambiare di posto qualche parola per dare novello senso alle

raccomandazioni asfissianti: Con la bocca ed il naso monouso coprite i fazzoletti quando tossiscono e starnutiscono; con garbo e buone maniere persuadeteli a non comportarsi sconsideratamente”; altrove aveva consigliato: “Nessun avviso ai naviganti.  Agli appiedati nuotanti: vi raccomandiamo di farvi raccomandare prima di…” ed era stato perentorio con gli scienziati: “Fisici! Evitate i contatti anche nei saluti. Chimici!, salutate con tatti intermittenti e le mani aperte nei pugni chiusi. Ragionieri! Ragionate sull’utilità della salute che i cagionevoli salutano senza remissione e senza potersi rifiutare”. L’amaro nonsense continua: “Giocatori compulsivi, ma vale anche per quelli di voi senza compulsione, giocate al lotto i numeri regionali che, per essere perennemente occupati, passeranno alla storia degli innumerevoli verdi costipati”. La rabbia suggerisce espressioni surreali di un’accorata sorprendente voglia di azione: Chi raggira i pollici non sfugge all’Indice degli indici: faccia la media dei medi, inanelli gli anulari e usi come auriculares i mignoli mignon. Riferendosi inoltre ad un non meglio identificato opinionista intervenuto in una trasmissione di scarso senso, magari di una emittente di Vattelapesca, gli ha attribuito il nome di veloce. Troppo veloce e smemorato del messaggio da portare: Lode sia data al celere Espedito/ che obbedì anzi d’esser comandato/ e ancora pria che il duca alzasse il dito,/  balzò in arcioni: eccolo già partito./ Fu in un baleno nel campo nemico,/ senza dispaccio, ma lo salvò/ la sua bandiera bianca,/ s’inchinò al capitan ch’era impettito/ e gli sorrise; poi con voce franca:/ “ sono in missione come ben vedete,/ ma se avete un’idea o da voi  è già saputo,/ aiutatemi a capire perché son qui venuto”.

Ogni tanto accade di imbattersi in espressioni toccanti  come questa: Bussai alla porta del cuore: ero certissimo che fosse in casa, ma preferì fingere d’essere uscito per faccende. Oltre quella porta blindata era in ascolto, in silenzio assorto, e da fachiro esperto tacitava i battiti cardiaci. Per abitudine mi tastai il polso: era lento.   Cito a questo punto dei versi in lingua nostra che danno senso alla pseudo insensatezza determinata dalla’ira ventosa e persistente.

Mi sembra attuale questo libero sfogo:

DICEVA MIMÌ REA

È nu delitto si stammo a scole affitto,/ è nu vero delitto ca nisciuno mai sconta/ o ha mai scuntato, ma fa ‘mpressione/ ca o stato adda pava’ ‘o pesone./ Campa ‘e stiente ‘o cavallo./  Ll’evera ch’è crisciuta se l’hanno già mangiata:/ chesto è succieso pe megaspitale, /che chine comm’a ‘n’uovo  d’’e macchinari tutte strapavate, /mai so’ state ‘ngignate: strumiente, liette sale operatorie, /cursie appriparate, /segge p’’e trasfusione se songo arruvinate./ ‘E mariuole po hanno fatto ‘o riesto/ scassanno tutte ‘e cose, sceppanno ‘a faccia ‘e mmure  tubbe e chiummo,/ fil’ ’e ramme, lavandine e ciesse/  e sempe senza colpe o punizzione, alla faccia d’ ‘e fesse  che pavano ‘e tasse. /Pure ‘e case d’’a povera ggente teneno ‘e porte blindate;/ ‘e proprietà d’ ‘o stato,/ che sarebbero ‘e tutte ll’italiane,/ nun so’ manco guardate: favurite! arrubbate:salute a vuie./Doppo turnammo a fa’ li spese sempe nuie:/ Intanto, pe nunn’asci’ ‘n pazzia , ‘nfaccia all’inerzia ‘e llate, /abballammo, facimmoce , n’ati quatte resate.

Il ben motivato pollicione levato in alto fa intendere conciliate la rabbia e l’indignazione che vedono colmata la misura quando si confondono eroi, rei e re, alla francese: “roi”. Il nuovo conoscente che per fiducia motivata mi ha affidato le sue carte antivirus, vorrebbe capovolgere il pollicione per distinguere gli eroi dai rei, che intanto sono contenuti nella parola che distingue i meritevoli e in quella si vanno a confondere. Non spetta a lui proporre il “pollice verso”, imperante nelle arene degli schiavi al macello, ma vale la pena soffermarsi su di un suo pensiero non peregrino.

EROI, REI E ROI

Finita la buriana, oh rei, oh rei,

tutti vi spaccerete per eroi,

”roi” s’inventerà ciascun di voi

e salvatore delle patrie glorie,

aspirando del virus alla corona.

Sapete che vi dico? La natura

E il Pensier che la regge e l’ indirizza,

presi insieme da subitanea stizza,

proprio come la penso in fede mia,

han deciso per una pandemia

di sfoltimento, panico, vendetta

e panzimoto e chi più sa più metta.

Lasciam che duri, hanno infin convenuto,

che pur dall’aria il gran fetor s’allenti,

che ciascun provi sua dose di stenti,

poi, oblio ai morti e sol per i restanti,

commemorazioni e festeggiamenti.

Intanto li teniamo sul chi vive,

perché col coronato si convive

e se popolazione vuol dir tanto,

aperti gli occhi alfine per lo sbando

con più disinfezioni e ramazzate pure

levassero ‘e pazzielle

da ‘e mmane ’e sti criature.

Si po na cundannuccia fa poco, poco male,

ciaccatele, ciuncatele, mannatele ‘o spitale”

Pigliammole pe buone sti cunsigli

E nun facimmo a comme vene vene:

sulo accussì ‘o male porta ‘o bene.

Che avrei dovuto dire? Ho espresso un giudizio positivo sulle Scremature, esercizi d’insipienza. Ho lodato il  titolare del pollicione da curare,  ho sollecitato qualche contributo per la pubblicazione dei suoi apprezzabili antidoti, che hanno colpito gli eccessi a discapito di un ditone fuori uso.

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