Nei vicoli della Sanità si difende lo stupore dell’infanzia

Ai piedi della collina di Capodimonte c’è il quartiere della Sanità, a nord delle mura di Napoli. Nel ‘600 area prescelta da nobili e borghesi napoletani; oggi, a causa della costruzione del ponte che ne determinò l’isolamento e la ghettizzazione, rappresenta uno di quei rioni tra i più impegnativi, socialmente parlando. Il riscatto dall’emarginazione, disoccupazione e criminalità è forte, come un fiore che cresce dall’asfalto. Associazioni di volontariato e culturali, insieme alla comunità ecclesiastica, contribuiscono a rivalutare quel luogo che ha dato i natali a Totò, ispirato Eduardo de Filippo e ospitato nel 1780 il pittore gallese Tomas Jones. Tra questi vicoli, in queste atmosfere ricche di storia, vive e trae la sua ispirazione l’artista Paolo La Motta, che espone le sue opere al Museo di Capodimonte nella mostra Capodimonte incontra la Sanità, visibile fino al 19 settembre. Nella sala messa a disposizione del Museo si possono ammirare sculture d’argilla e dipinti, frontalità di una ritrattistica concentrata sull’infanzia, genere molto raro. L’attenzione per il riconoscimento dell’universo psicologico e del mondo dell’infanzia nasce in Europa con gli scritti di Rousseau che aprirono il campo di riflessione e a cui attinsero i pedagogisti solo nel  XIX e XX secolo. La Motta, formatosi all’Accademia di Belle Arti di Napoli, allievo dello scultore Perez, raffigura il candore, l’innocenza di quel periodo della crescita e formazione dell’individuo che è ancora tutto racchiuso in uno scrigno misterioso con le sue fragilità e durezze. Raffigura i bambini dei quartieri popolari Stella, Sanità e Vergini, dei quali conosce bene i volti e gli animi e ai quali dedica il suo saper fare arte nei laboratori di scultura all’Istituto Papa Giovanni XXIII. La Motta aspira ad un equilibrio tra figurazione ed astrazione, sempre nella sospensione del concetto di finito – non finito, in cui l’episodico racconta concetti assoluti legati all’infanzia. Le sue sculture ricordano quelle di Vincenzo Gemito e l’intensità espressiva deriva dalle fisionomie dei vicoli del centro storico di Napoli con le sue scene popolari. Per sottolineare la pittura che dialoga con la pittura, la Motta costruisce i suoi dipinti partendo da spazi creati da gesti irrazionali legati all’astrattismo in cui inserisce il figurativo, senza mai definire un genere preciso. Nella piazza principale del rione Sanità c’è una sua scultura che raffigura un ragazzino in equilibrio su due assi tra le quali è incastrato un pallone. Nelle ombre della sera, quando i ragazzini si riuniscono nella piazza, la scultura riprende vita e Genny Cesarano, vittima innocente della camorra, rinasce davvero mentre incide una T, a voler trasformare la Sanità in Santità: come ad indicare l’urgenza di una giustizia che possa risorgere proprio da un quartiere così martoriato. Paolo La Motta conobbe Genny  in un suo corso di un laboratorio artistico e non potrà mai dimenticare l’oro dei suoi capelli e la forza del suo viso ingenuo destinati ad un sogno spezzato. La scultura intitolata In – ludere, giocare contro per non morire, è il simbolo del grido gioioso dei bambini che giocano e l’urlo dei ragazzi della Sanità che chiedono solo di poter crescere liberi e sereni, lontani da quel mondo spesso spietato degli adulti che dovrebbero solo proteggerli. L’arte di La Motta è espressione del suo impegno concreto nel sociale a cui il Museo di Capodimonte ha voluto rivolgere la sua attenzione. È d’obbligo, a questo punto, ricordare artisti napoletani del calibro di Raffaele Lippi, Emilio Notte, Giovanni Brancaccio, Armando De Stefano e lo stesso Augusto Perez, (vissuto nel rione Sanità nel palazzo dello Spagnoletto) che non hanno visto mai, non ancora o non abbastanza esposte le loro opere d’arte in spazi istituzionali con i dovuti riconoscimenti. Sarebbe un valido pretesto e un ulteriore modo di divulgare la cultura tra le nuove generazioni.

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