Il risveglio di un intero popolo e il crollo di Gomorra

Gli studenti dei Salesiani si confrontano con il giornalista Luigi Ferraiuolo

Il 19 marzo è San Giuseppe, lo sposo di Maria, padre putativo di Gesù, ed è il giorno in cui si festeggiano tutti i papà. E, quest’anno, l’Istituto Salesiano del Vomero di Napoli ha voluto rendere proprio questa data ancora più speciale, organizzando un incontro tra i suoi studenti ed il giornalista Luigi Ferraiuolo (autore di numerosi testi e attualmente redattore di TV2000), per discutere sulla camorra, di Don Giuseppe Diana e soprattutto su come dal male può nascere il bene: argomenti esaminati nel libro di Ferraiuolo, Don Peppe Diana e la caduta di Gomorra.

Pasquale D’Angelo, sacerdote e professore ai Salesiani, ha introdotto l’incontro sottolineando la necessità e l’importanza di educare i giovani attraverso il confronto con esperienze esemplari, quale è stato il cammino di Don Giuseppe Diana che, assolvendo al suo dovere di sacerdote, ha sacrificato la propria vita per lottare contro la criminalità organizzata in nome della giustizia e della libertà.

Don Giuseppe Diana, sacerdote dal 1982 e dal 1989 parroco della parrocchia di San Nicola di Bari nella sua Casal di Principe, insegnante, attivista e scout, fu assassinato proprio il giorno del suo onomastico. Quel giorno, il 19 marzo del 1994 di mattina presto, appena uscito dalla sacrestia, mentre si incamminava nella sua chiesa per celebrare messa, viene brutalmente ucciso dalla mano della camorra casalese. Don Giuseppe Diana amava la sua terra, serviva la sua gente e proteggeva i suoi fedeli, proprio come un padre amorevole protegge i propri figli. Ma per le organizzazioni criminali andava eliminato perché aveva osato mettersi contro di loro. Ciò che fa scattare il grilletto contro il sacerdote è il fatto che lui era riuscito, attraverso la parola di Cristo che si fa parola dell’Uomo, a diffondere un grido di protesta e di opposizione unanime, prima attraverso il volantino Basta alla dittatura armata della camorra -nato e diffuso dopo l’ennesimo erroneo omicidio di un giovane innocente- e poi il manifesto Amore per il mio popolo. Parole, quelle, che Don Peppe Diana userà sempre più spesso nelle sue omelie.

L’incontro con lo scrittore ha suscitato tra gli studenti grande entusiasmo, partecipazione e stimolato il loro senso critico. Da parte loro si avverte forte l’esigenza di affrontare questi argomenti, ancora troppo trascurati nella società e poco dibattuti nelle aule di scuola; come se parlare di camorra, criminalità e mafia oggi sia ancora un tabù o un tema difficile da impostare con i ragazzi. Quest’incontro dunque è risultato molto istruttivo, perché nato alla fine di un percorso iniziato dalla lettura individuale ed integrale del testo del giornalista Ferraiuolo, che è stato tra loro (seppur virtualmente in video-conferenza), non solo per presentarlo ad un pubblico di giovani, ma anche per rispondere alle domande degli studenti, suscitate da un’attenta lettura. Questo momento ha permesso inoltre agli studenti di esprimere, in presenza dell’autore, le loro considerazioni personali riguardo la figura di Don Peppe Diana, alla luce di approfondimenti utili a capire meglio la storia del nostro territorio. Sono emersi dei valori forti attraverso le loro parole, come la speranza, il coraggio, la volontà: luci abbaglianti che possono estirpare i semi del male. Si è augurato sia che questi argomenti circolino soprattutto in quegli istituti scolastici più a rischio per fragilità sociali, sia che questa catena di solidarietà, nel dar voce a temi seppur così crudi e non semplici da gestire sul piano emotivo ed educativo, possa continuare e non spezzarsi, portando pensieri e voci in molti altri istituti scolastici.  

Il libro di Luigi Ferraiuolo nasce da anni di un’intensa frequentazione di Casal di Principe legata al suo impegno in molteplici iniziative, come la direzione della Scuola Internazionale di Giornalismo Investigativo e la coordinazione e animazione della Biblioteca. Nel suo libro, si sofferma proprio sulla persona di Don Peppe Diana per raccontare soprattutto la caduta di Gomorra. Per comprendere meglio l’ascesa del colosso casalese è necessario sapere cosa significava vivere in quei luoghi negli anni ‘80 e cosa era Casal di Principe quando Don Peppe era parroco lì. Già il fatto che l’ONU abbia definito Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa e Casapesenna “Il triangolo della morte”,la dice lunga. In quei posti sono state uccise più persone ammazzate in strada che in qualsiasi altro luogo al mondo; più della Colombia, del Triangolo d’oro (Laos, Cambogia e Vietnam). La gloria del clan dei falsi casalesi (come preferisce chiamarli Ferraiuolo per distinguerli da quelli veri che sono la parte buona di quella città), è durato dal 1980 al 2005. La parte militare è stata sconfitta solo nel 2013, con l’arresto di Michele Zagaria, ma la sua forza economica è enorme ed è ancora in circolazione in molte parti del mondo. In quegli anni dunque la parola camorra era davvero un tabù e nessuno osava mai pronunciarla: solo in seguito all’omicidio di Angelo Riccardo -ennesima vittima innocente di un conflitto a fuoco tra il gruppo di Sandokan/Francesco Schiavone e il superkiller Luigi Venosa – e dal momento in cui iniziò a circolare il volantino di Don Peppe, a Casal di Principe iniziò il declino del clan. 

Luigi Ferraiuolo, tra tutte le vittime di mafia, ha scelto quella di Don Peppe Diana per tre motivi. Il primo motivo consiste nella constatazione che la morte di Don Peppe non ha stravolto, come per le altre vittime, solo la sua vita ma, ha segnato un cambiamento epocale che ha trasformato un’intera comunità. Il secondo motivo sta nel fatto che Ferraiuolo voleva parlare proprio della camorra di Casal di Principe, che insieme a quella della famiglia Nuvoletta, era una camorra mafiosa, diversa dalle altre. In Campania. gli unici clan membri diretti di Cosa Nostra erano i Casalesi di Casal di Principe e i Nuvoletta di Marano: gli unici che hanno compiuto omicidi politici in Campania. Il terzo motivo, sta nel fatto che i cattivi casalesi hanno agito e condizionato la società non solo campana, casertana e del sud, ma si pone allo stesso livello di Cosa Nostra e della ‘Ndrangheta. Don Peppe Diana ha significato, quindi, quel momento cruciale in cui è iniziata la caduta di Gomorra e del suo impero, avviando una vera e propria rivoluzione da parte di quei veri casalesi, i quali hanno iniziato ad immaginare, a combattere, a costruire un futuro e una vita migliore.  Segni di questo seme che sì muore, ma restituisce un raccolto rigoglioso, sono tutte le attività e associazioni sorte dai beni confiscati e liberati dalla Mafia.

L’incontro si è concluso parlando di cosa sia il mestiere della scrittura e del giornalismo; come si coltivi e si affini con lentezza, studio, pazienza e immensa passione. E infine è stata posta un’ultima domanda relativa alla paura di esporsi nell’affrontare tematiche così scottanti. Il nostro giornalista ha ricordato che la paura si sconfigge restando uniti nell’impegno e nel dialogo, perché come diceva Falcone: «La mafie uccidono quando si è soli».

28.04.2021

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