Insegnare è un “lavoro tessuto ad arte”, ove preparazione ed intuizione si fondono insieme. Non esiste una categoria prestabilita, un canone al quale rifarsi, valido in qualunque circostanza, per cui interrogativi, discussioni, critiche scaturiscono come conseguenze inevitabili. Occorre, pertanto, inventarsi ed inventare giorno per giorno, a seconda del contesto ove si opera e del referente. Con questo non voglio certo dire che l’improvvisazione debba “farla da padrona”; sarebbe svuotare il senso del percorso che richiede, invece, una costante, attenta preparazione, la quale sappia cogliere, comunque, i momenti per mutare i discorsi, adeguandoli alle situazioni particolari che si presentano, altrimenti il tutto diventa inadeguato e perfino inutile. Chiarisco, subito, che non ho la presunzione di fissare alcuna regola; desidero solo testimoniare la mia esperienza, pluridecennale, di attività scientifica e didattica svolta a livello universitario, ormai trascorsa, eppur forte e presente dentro di me.

Ho avuto la fortuna di essere a contatto con i giovani in fasi importanti della vita, varie, imprevedibili, talora difficili e insidiose. Il mio precipuo obiettivo è stato quello di offrire ad essi stimoli protesi a meditare sul farsi dell’esistenza, sull’inesauribile divenire, senza annoiare, cercando di rendere il sapere utile e dilettevole, con umiltà.  L’arroganza nell’insegnare costituisce l’antitesi dello scopo che si dovrebbe perseguire e raggiungere: trasmettere un messaggio di idee e valori nei quali ritrovarsi a vicenda, poiché il codice  che si usa in quei momenti sia comune al mittente e al destinatario, privo di sbavature, di formule contorte e retoriche che snaturano i contenuti, piegandoli esclusivamente alla sete di vanità. Ho compreso, così, che il mio compito doveva snodarsi soltanto come un servizio da offrire, con onestà e senso di responsabilità.

Il contesto è uno degli elementi da tenere in debita considerazione quando si insegna per non correre il rischio di astrattezza, così come può configurarsi una chiave di comprensione del proprio “io” il contemperare le esperienze personali con i testi. Voglio dire che anche delle predisposizioni sottese possono tranquillamente venire fuori durante una lettura testuale, una interpretazione, un raffronto. Ciò allontana l’eventuale stanchezza dell’apprendere in virtù di una personale integrazione. Quando ci si trova fra numerosi giovani, è bello vederli solidarizzare fra loro, instaurare un clima di amicizia e collaborazione. Pur non smarrendo la propria personalità, il rapporto d’insieme stabilisce dei parametri con cui misurarsi. L’immaginare il corso come armonia di persone protese verso il medesimo fine, quello di intendere ed intendersi, per migliorare le rispettive propensioni, approfondire la sfera culturale di ciascuno e di tutti, mi ha persuasa a proporre la formazione di gruppi di lavoro con interscambio dei risultati conseguiti.

Devo ammettere che l’idea è stata recepita favorevolmente. Non mi sono mai astenuta dal ripetere che lo scrittore va conosciuto attraverso la sua opera che necessita di una profonda penetrazione, indagandola nelle pieghe più riposte, posseduta nella voce e nel silenzio. Leggere nel silenzio, meglio negli spazi bianchi, in quello che le parole non dicono, affina il potere della mente di carpire il sotteso, il significato celato da una lettura superficiale e frettolosa. Bisogna sempre osservare le reazioni degli allievi, non sottovalutarle; esse rappresentano la spia necessaria al nostro modo di agire, per invertire tempestivamente la rotta quando la navigazione potrebbe divenire rischiosa.

Ricordo un pensiero di Daniel Pennac : “Ogni studente suona il suo strumento…. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l’armonia” . E’ palese, infatti, che, dinanzi a me, si siano susseguite generazioni di giovani, con storie, vicissitudini, esigenze diverse, comunque accomunati da un’unica domanda, aperta o sottesa, quella di acquisire conoscenze utili, funzionali alle loro aspettative. Niente, dunque, di dogmatico o stantio, solo il piacere della scoperta, tappa di un “work in progress”, dove si rinnova l’ansia del nuovo profitto, della prossima meta. I tempi, si sa, cambiano; i docenti, attraverso i mutamenti storici, devono formulare proposte credibili al passo con gli eventi. I testi, insomma, pur nel rispetto della loro autenticità, necessitano dell’adattamento ai contesti per non apparire scollati dalla realtà in cui si vive; un qualcosa di trascorso da lasciare nel dimenticatoio. E, nel contempo, vanno apprezzati come uno spaccato del periodo storico in cui sono stati composti, indice della palingenesi del vivere. Se gli studenti che frequentano l’Università differiscono, è ovvio, da quelli delle scuole medie, per cui oltre l’età, le condizioni sono molto diverse, suppongo tuttavia ci si aspetti un analogo comportamento da parte del docente. Egli è chiamato a rendere un servizio, leale, attento, responsabile, compiendo ogni sforzo per valorizzare la centralità della persona. Stabilire il contatto, l’empatia, costituisce un raccordo autentico. Fare acquisire la fiducia in colui-colei deputati a consegnare il “sapere”, naturalmente con i suoi limiti, poiché sarebbe velleitario pensare di consegnare tutto lo scibile, si configura come uno degli aspetti portanti. La fiducia deve essere reciproca : si agisce insieme con onestà per ottenere qualcosa che appaghi entrambe le parti, pur considerando scopo primario e irrinunciabile l’offerta didattica più consona alle esigenze dei destinatari.

Per il criterio interdisciplinare che mi ispira, rammento la bella equazione di Dirac che ha plasmato la fisica come un moto dell’animo: “se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati non possono più essere descritti come due sistemi distanti, ma in qualche modo diventano un unico sistema. In altri termini quello che accade a uno di loro continua ad influenzare l’altro….”. Questa è l’alchimia del diletto che racchiude la “seduzione” (dal lat. delectare, intens. di delicĕre, ‘sedurre’, comp. di de e lacĕre  ‘attrarre’), la forza di attrazione, infondendo e diffondendo delizia, gaudio. Tale seduzione, con i suoi attributi, deve possedere l’insegnamento, un unicum che stagli la cultura come sana e prospera fonte di civiltà

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