Valutare per “svolgere” l’alunno più che ‘svolgere un programma

«A decorrere dall’anno scolastico 2020/2021 la valutazione periodica e finale degli apprendimenti è espressa, per ciascuna delle discipline di studio previste dalle Indicazioni Nazionali, compreso l’insegnamento trasversale di educazione civica, attraverso un giudizio descrittivo riportato nel documento di valutazione, nella prospettiva formativa della valutazione e della valorizzazione del miglioramento degli apprendimenti. I giudizi descrittivi sono riferiti agli obiettivi oggetto di valutazione definiti nel curricolo d’istituto e sono correlati a differenti livelli di apprendimento».

Il countdown verso la fatidica valutazione quadrimestrale mi ha sempre messa un po’ a disagio.

Sappiamo che la valutazione mette in moto un processo soggettivo e personale, che, però, deve tendere alla maggiore oggettività possibile, eludendo probabili preconcetti e stereotipi.

Per me rappresenta un momento complesso e delicato, di fondamentale importanza, che ha bisogno di una diagnostica iniziale, per definire il livello di partenza di un alunno, per rilevare probabili difficoltà ma anche e soprattutto per estrarre potenzialità che possono tramutarsi in atto, attraverso un piano formativo ad hoc, che sostenga l’alunno nella realizzazione di un suo personale progetto di vita e per la vita.

Penso, quindi, che valutare significhi attribuire valore, concedendo alla persona la possibilità di esprimersi a 360°, comprendendo anche i probabili fattori deformanti la valutazione stessa: emotività, stress e malessere che possono stravolgere gli esiti sperati.

La scuola è molto orientata alla valutazione del profitto o del rendimento ma, e lo si dice da anni, occorre non perder di vista l’alunno con le sue tante intelligenze e mille sfaccettature di personalità.

Le nuove Linee Guida MIUR (riprese all’inizio dell’articolo) predispongono l’abolizione del voto (per la Scuola Primaria) a favore della produzione di giudizi verbali, giudizi che, in ambiente pedagogico, pongono il loro fondamento nella valutazione formativa, che non si delinea come una statica fotografia in bianco e nero, ma si declina come un’attività dinamica che offre al docente tanti feedback congiunti ad azioni formative che tengano conto degli effetti in relazione alle seguenti operatività didattiche.

Una valutazione descrittiva, come quella dei giudizi, si presta ad altre evidenze, mette la lente d’ingrandimento non solo sugli aspetti cognitivi e/o metacognitivi, ma anche sulle caratteristiche comportamentali, socio-relazionali e affettive.

Si desume che i giudizi, diversamente dai voti numerici, a mio parere, esplicano una valutazione qualitativa, descrittiva, narrativa, empatica, molto più sensibile alla complessità dell’essere umano, facendo respirare un’aria più ricca di umanità.

Tali giudizi certificano i traguardi di sviluppo, attestando sia lo stile cognitivo (conoscenze procedurali – operazioni cognitive elevate e complesse – meta cognizione) sia le skills comportamentali (orientamento all’obiettivo, problem solving, team work, resilienza, motivazione, passione, etc.).

Considero, quindi, positivamente la reintroduzione dei giudizi: mi sembra che la scuola si riappropri del suo compito speciale che verte sulla centralità della persona, una persona che va argomentata, espressa, delineata, descritta, raccontata nella sua interezza.

Ho un mio ideale di scuola: una vera “scuola su misura” (Claparede), dove la valutazione possa esser pregna di un nuovo senso: “svolgere” l’alunno più che svolgere un programma.

16.01.2021

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