Shoah: l’importanza di ricordare per non dimenticare.

Gennaio è un mese che rimanda a tanti pensieri, tra questi c’è  la Shoah.

Mi sono molto interrogata se parlarne o evitare l’argomento con i miei alunni di classe quarta primaria.

Sapete, i bambini, spesso, vivono nel confort, ovattati da ciò che è brutto, nella culla del ‘tutto e subito’, nella convinzione che tutto è lecito e permesso, nell’idea che ciò che non serve o che provoca sofferenza si butta o va dimenticato.

Mi chiedevo, dunque, se fosse il caso di ‘aprire’ loro la mente.

Ho pensato che, se è vero che la scuola si pone come comunità educante e certamente  riflette sui saperi disciplinari, di conseguenza ha anche, in grembo tante, coscienze da formare; quindi occorre fermarsi un attimo e ricordare per non dimenticare.

L’orientamento della scuola non può  essere a favore dell’oblio e delle dimenticanze!

L’“Educazione alla cittadinanza”, di cui queste tematiche fanno parte, dovrebbe essere il ‘pane quotidiano’ e non un’azione spot legata ad un evento.

Conosciamo tutti la storia e non gradirei, in questo contesto, soffermarmi sull’evento.

Parlare della Shoah, a scuola,  come ‘fatto’ del passato è il mio pretesto per scuotere le coscienze, per fare introspezione, per porre dei punti di domanda, per maturare la convinzione di scardinare l’idea Hobbesiana dell’Homo Homini lupus.

Nel leitmotiv dell’individualismo sfrenato e della concezione egocentrica che coccola i nostri giorni, la scuola diviene faro che illumina il senso empatico, salvagente dell’umanità.

Ho chiesto ai miei alunni di immaginare, improvvisamente, di essere espulsi da scuola, di non poter giocare coi coetanei, di dover lasciare casa e viaggiare verso l’ignoto.

‘Perché nessuno si è opposto?’-  dicono.

Penso ad una parola: INDIFFERENZA.

L’indifferenza riuscì a far dilagare la Shoah. L’indifferenza fissò un preciso perimetro umano tra chi doveva vivere e chi morire, tra i “noi” e i “loro”.

L’indifferenza diventa il nostro motivo di discussione.

Non vorrei che i miei bambini si alimentassero di “pane, burro e indifferenza”.

Occorre far penetrare dentro ciascuno e ribadire il concetto di indifferenza. Si può essere indifferenti di fronte ad un compagno insultato (quasi bullizzato); indifferenti mentre un immigrato muore (nella notte scura, nella profondità del mare); indifferenti quando ad una vecchietta sul bus non si cede il posto; indifferenti alla cartaccia disseminata per la strada (tanto io non la butto!); indifferenti agli esperimenti eseguiti sugli animali (mica loro hanno una coscienza?); indifferenti ad un lento e graduale cammino gregario, con paraocchi solo verso il proprio recinto.

Émile ou De l’éducation, la nota riflessione filosofica e pedagogica di Rousseau, si fonda sul principio che il bambino è naturalmente buono.

Proprio i bambini, naturalmente buoni, diventano la nostra ispirazione, far leva su cuori e menti pure, significa che c’è sempre speranza…

Shoah, NON ti sono indifferente!

I CARE, dicono gli inglesi: ‘Mi importa!’

Fabiana Camerlingo

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